lunedì 25 gennaio 2021

Grosso guaio a Chinatown

Dopo il bell'articolo linkato da Lele su WhatsApp, complici gli scrutini, sono andato un po' a spulciare in rete alcuni commenti ed ho trovato questo bel commento su movieplayer.it.


GROSSO GUAIO A CHINATOWN (E AL BOXOFFICE): PERCHÉ IL FLOP DI CARPENTER CI FECE INNAMORARE DEL CINEMA

Tutti conoscono la definizione di cult movie, e tutti noi abbiamo in qualche modo contribuito almeno una volta nella vita a trasformare una semplice pellicola in un'icona, in un oggetto di culto. L'abbiamo fatto grazie alle visioni multiple offerte dalle TV o semplicemente citando a memoria agli amici passaggi interi della sceneggiatura; ma l'abbiamo fatto, e abbiamo così deciso, più o meno inconsciamente, che alcuni film meritano di rimanere non solo nella nostra memoria ma in quella storica della società in cui viviamo.

Ma cosa hanno di speciale questi film? Cosa li rende tanto memorabili da acquisire un pubblico tutto loro, che prescinde dal genere, dalla nazionalità, dagli attori o dal regista e che gli permette di entrare nella cultura popolare più di quanto possano fare, a volte, i più grandi successi al botteghino o i vincitori dei premi più prestigiosi? Questa è una domanda che probabilmente non troverà mai risposta, perché se ci può essere in qualche modo una formula per realizzare un (quasi) sicuro successo commerciale, non c'è invece nulla che garantisca quel seguito "fanatico" che solo pochi film riescono a conquistare.

IL FLOP CHE NON TI ASPETTI

I tanto bistrattati anni '80, per esempio, di cult movies ne hanno avuti in abbondanza, soprattutto per quanto riguarda il cinema americano. Ma se E.T. L'Extraterrestre, L'impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, Ghostbusters, I predatori dell'arca perduta e Ritorno al futuro sono stati tra i veri fenomeni del decennio anche al botteghino, e altri film come I Goonies, The Blues Brothers, Karate kid hanno ottenuto risultati molto positivi, altre opere sono riuscite a conquistare il pubblico soltanto con l'arrivo in VHS direttamente nelle case degli spettatori.*

*Aggiungo a questi film altri titoli presi da un altro articolo dello stesso sito, che aggiunge una chiave di lettura interessante per certi film degli anni '80.

Labyrinth, come pure LegendWillowLadyhawke e molti altri teen fantasy dello stesso periodo, è un film unico. Non prevedeva trilogie, sequel o serialità. Allora i film per ragazzi erano un genere di serie B: non eravamo ancora l'unica fascia d'età che fa girare i soldi, e i titoli per noi si realizzavano con la consapevolezza che gli incassi non sarebbero arrivati. Dobbiamo ringraziare produttori come George Lucas (tra gli executive anche di Labyrinth) che ce li hanno regalati per il puro piacere di fare arte e non per l'incasso. La vicenda iniziava e si esauriva, e noi quelle videocassette le consumavamo fino a conoscere le battute a memoria. Nessuno si aspettava un seguito, nessuno faceva paragoni con il libro.

Parliamo di titoli "difficili" come Blade Runner e Brazil ma anche di Grosso guaio a Chinatown che quando arrivava nelle sale USA esattamente 30 anni fa, il 2 luglio del 1986, aveva tutte le carte in regola per essere un nuovo trionfo del regista di grandi e inaspettati successi come Halloween o Fog. Certo, i successivi La cosa o Starman non avevano funzionato altrettanto bene, ma Big Trouble in Little China aveva, almeno in teoria, il pregio di riproporre l'attore Kurt Russell in un ruolo carismatico e da duro come quello visto in 1997: Fuga da New York.

Un po' per colpa della contemporanea uscita di un film come Aliens - Scontro finale di James Cameron, un po' per l'ambientazione cinese fin troppo abusata in quel periodo (l'anno prima c'era stato L'anno del dragone e dopo pochissimo sarebbe arrivato l'iperpubblicizzato Il bambino d'oro con Eddie Murphy), il film di Carpenter però fu un sonoro flop non solo al botteghino (dove incassò solo 11 milioni a fronte di un budget di oltre 20) ma anche per la critica dell'epoca, e fu così che il regista, che invece del film era particolarmente fiero e che da tempo desiderava realizzare un film di arti marziali, decise di lasciare Hollywood per un cinema più indipendente.

"L'esperienza con Grosso guaio è la ragione per cui ho smesso di lavorare con gli studios hollywoodiani. Non lavorerò mai più con loro. Credo che Grosso guaio a Chinatown sia un film meraviglioso, ne sono orgogliosissimo. Ma il modo in cui fu accolto - e le ragioni di quell'accoglienza - fu davvero troppo per me. Sono troppo vecchio per queste stronzate". (Carpenter in un'intervista del 1987)

30 ANNI DI GROSSI GUAI, MA GRAZIE A CARPENTER NOI SIAMO NATI PRONTI!

Da quel momento il cinema di John Carpenter non è stato mai più lo stesso. Nella sua filmografia non sono mancati altri film diventati di culto (Essi Vivono e Il seme della follia su tutti) ma è stata proprio la rovinosa release di Grosso guaio a Chinatown a sancire l'inizio della fine per una carriera che, a cavallo tra gli anni 70 e gli 80, sembrava destinata a successi sempre maggiori. Quel "Grosso guaio" del (bel) titolo assunse un significato davvero diverso da quello che Carpenter poteva inizialmente immaginare e non bastò l'incredibile successo che ebbe sul mercato homevideo e le incredibili dimostrazioni d'affetto dei fan nei confronti del film e del suo protagonista Jack Burton a fargli ritornare il buon umore.

Certamente non gli basterà nemmeno quello che stiamo per scrivere adesso, ma Grosso guaio a Chinatown ebbe un'enorme importanza e soprattutto influenza per la nostra educazione cinematografica; probabilmente, col senno di poi, molto più importante di quanto avremmo mai potuto immaginare: l'amore per il cinema a tutto tondo; ed è un qualcosa di cui forse ci rendiamo conto soltanto oggi.

UNA QUESTIONE DI RIFLESSI

Per un bambino di 10 anni scoprire un film come quello di Carpenter vuol dire accedere ad un intero universo fatto di fantasia: ci sono buoni e cattivi, mostri e persone normalissime, magie e armi bianche; ci sono leggende molto antiche e luoghi esotici; gang che si affrontano, nemici che arrivano dal cielo, fanciulle da salvare e un personaggio che viene da un mondo completamente diverso e non magico in cui è facilissimo immedesimarsi. Per un bambino di 10 anni che per tutto il resto della sua vita continuerà a guardare e divorare film senza pregiudizio alcuno ma solo con tanta fame e desiderio, all'interno di questo "flop" ad aspettarlo, c'è il western alla John Wayne (addirittura la primissima sceneggiatura era ambientata nel 1880), ci sono dialoghi che sarebbero perfetti per le screwball di Howard Hawks, ci sono gli eroi alla Harrison Ford di Lucas e Spielberg ed ovviamente le atmosfere e le musiche tipiche di Carpenter e dei suoi capolavori "horror" precedenti, su tutti Distretto 13: le brigate della morte. E chissà quante altre suggestioni.

Ma soprattutto c'è lui, Jack Burton, un personaggio come raramente se ne erano visti e questa volta non vale solo per un bambino di 10 anni: Carpenter l'ha più volte definito come uno dei suoi preferiti in assoluto, e non è difficile capire perché visto che in realtà Jack è semplicemente un sidekick (in un film "normale" il vero protagonista sarebbe l'amico Wang Chi che invece ha le caratteristiche del vero eroe), un uomo della strada, che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato e invece finisce col credersi qualcosa di più. E ammesso che si voglia comunque considerare Jack come un eroe, non ha nulla dei protagonisti positivi a cui il cinema hollywoodiano ci aveva/ha abituato: non è umile ("Sarà necessario un tempismo al decimo di secondo." "E concentrazione assoluta. Sei pronto?" "Io sono nato pronto."), non è un leader ("Allora: voi state qui calmi, tenete il fortino, conservate vivo l'amor di patria e se non torniamo per l'alba... chiamate il Presidente!"), non è nemmeno particolarmente coraggioso ("Esplosioni verdi, gente che entra e esce volando, ah non può essere vero, io chiamo la polizia...").

È invece sbruffone, arrogante e un po' cialtrone, convinto di avere tutte le risposte ma in realtà passa gran parte del film a fare domande e a non capire quello che realmente gli sta succedendo intorno; il suo personaggio è insomma più una (auto)critica al tipico eroe del cinema americano che l'esaltazione dello stesso, tanto che alla fine non cede nemmeno alla tentazione del lieto fine con la bella di turno (un'affascinante e indipendente Kim Cattrall) e nel momento più importante, quello della battaglia finale, dopo tante chiacchiere e promesse, si ritrova svenuto e KO sul pavimento a causa della sua stessa incompetenza.

I CONSIGLI DEL VECCHIO PORK-CHOP EXPRESS

Eppure la figura di Jack Burton - perfettamente incarnato da Kurt Russell - rappresenta il meglio del cinema di Carpenter, così come il suo rapporto con l'altrettanto convincente Dennis Dun simboleggia il tanto ricercato e riuscito contrasto tra il cinema americano più esagerato e fracassone e l'eleganza e il misticismo di quello orientale. Un difficile equilibrio tra il popolare e l'autoriale che ci regala così un cinema ricco e stratificato, sicuramente imperfetto e pasticciato - e, visto oggi, anche un po' antiquato - ma che sapeva osare, aveva il coraggio di mescolare ingredienti apparentemente contraddittori (in un film del genere chi altri avrebbe mai messo una colonna sonora del genere preferendola a musiche orientaleggianti?) e così facendo aumentava quella fame e quella voglia di cinema che in tanti, non solo bambini di 10 anni, hanno fortunatamente dimostrato di avere in questi 30 anni. Per questo Grosso guaio a Chinatown oggi si fa fatica a considerare come un flop, come un film che può determinare e far fallire una carriera, perché in realtà ne ha fatte nascere molto altre.

I consigli del vecchio Pork Chop Express sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo. Basta che vi ricordiate quello che fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell'occhio e gli dice: “Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura.”

mercoledì 20 gennaio 2021

L'anno delle serie fantasy!

Da Tomshow e Staynerd.

A parlare di una possibile serie tv è stato Brian Goldner, presidente e CEO di Hasbro, che ha spiegato che la multinazionale al momento sta vagliando diverse possibilità per quel che riguarda la produzione di un film di D&D. La notizia di un film non è certo nuova nell’ambiente, da qualche anno, periodicamente, si discute di una possibilità simile per il franchise del gdr, tuttavia è la prima volta che si fa riferimento alla possibilità di realizzare una serie tv.

Goldner ha affermato che al momento il team sta lavorando in modo diverso, vagliando diverse opzioni, dato che il materiale a disposizione è molto e questo permetterebbe lo sviluppo di produzioni live action di potenziale interesse, sia per i canali televisivi che per i diversi servizi di streaming.

Nonostante l’interessamento ad una potenziale produzione di D&D al momento non sembra essere stato preso alcun accordo con soggetti terzi, tuttavia l’intenzione di Hasbro sarebbe quella di sviluppare una serie tv invece che un film.

Tra gli eventi che potrebbero dare spinta ad una produzione simile ricordiamo che alla fine del 2019, Hasbro ha acquisito eOne, casa di produzione specializzata in contenuti di intrattenimento come film, serie tv e serie di animazione; eOne verosimilmente potrebbe così portare avanti la produzione di questa nuova serie tv, insieme a nuove produzioni basate sui diversi franchise di Hasbro, come ad esempio My Little Pony e altri brand.

Vogliamo sottolineare che Hasbro al momento non ha stabilito ancora nulla di preciso, e che le dichiarazioni riportate sono abbastanza vaghe e ben lungi dall’essere certe. Detto ciò, di cosa potrebbe parlare una serie tv di D&D? Il materiale a disposizione da cui sviluppare un soggetto originale è qualcosa che non manca di certo, ma tra i titoli citati nella riunione sugli utili Goldner fa riferimento ad alcune IP di prossima uscita legate ai videogiochi di Dungeons & Dragons, tra cui Baldur’s Gate III e D&D Dark Alliance, oltre ad altri titoli in uscita tra il 2022 e il 2024.


Insomma, pare davvero che l’interesse sia fortissimo e che Hasbro abbia già iniziato a lavorare sulla creazione dello show. I giocatori di D&D sanno bene quanto sia vasta la lore dei Forgotten Realms, abbastanza per realizzare un’opera ricchissima e in grado di catalizzare l’attenzione dei giocatori. E non solo.

In passato c’erano già stati tentativi di portare sullo schermo D&D, ma nessuno dei due ebbe troppo successo. Ricordiamo la serie animata degli anni ’80, un piccolo cult che tuttavia rimase senza conclusione. Ma anche il fallimentare film con Jeremy Irons, rivelatosi un flop di proporzioni colossali.

Che la terza volta sia quella buona? Che il formato della serie tv sia quello destinato a dare la gloria televisiva a Dungeons & Dragons? Solo il tempo ce lo dirà.

lunedì 18 gennaio 2021

La nuova gallina dalle uova d'oro da mungere?

Da una news su Gioconomicon.net, scritta da Marco Signore aka Normanno aka Il Nano Borbone.


Qualche settimana fa, erano apparse online delle fotografie di un presunto gioco di carte di HeroQuest. Le foto in questione mostravano effettivamente un cardgame, comprensivo di dadi e segnalini, con tutta la grafica tratta dalla nuova versione di HeroQuest recentemente finanziata in crowdfunding. La scoperta è stata presa con le pinze, visto che non vi era traccia di nessun annuncio ufficiale da Hasbro e visto che le foto in questione mostravano componenti con scritte solo in spagnolo (e il rapporto tra Spagna e Heroquest, come sappiamo, non è sempre stato cristallino).

Il gioco in questione, dall’inequivocabile titolo HeroQuest The Card Game, è invece oggi apparso su diversi shop online e le nuove foto che stanno arrivando da chi lo appena ricevuto sembrano dimostrare la sua ufficialità…

Dalle poche informazioni disponibili, il gioco dovrebbe essere un cooperativo per 2-4 persone, che prenderanno i panni degli iconici Mago, Barbaro, Elfo e Nano (ciascuno con plancia doppia faccia per scegliere il genere che preferiscono) per affrontare il classico dungeon rappresentato da un mazzo di carte.

Il turno di gioco prevede che si giochi una carta che va a comporre il dungeon del malvagio Zargon e poi si scelga un’azione tra attaccare la minaccia (ovviamente a suon di dadi), tentare di curarsi o cercare tesori. Lo scopo è quello di terminare di esplorare tutto il dungeon e arrivare all’uscita senza che nessuno dei membri del gruppo perisca nel tentativo.

Come recita il claim che accompagna il gioco, HeroQuest The Card Game è pensato per offrire un’esperienza da dungeon crawling compatta e veloce, per quando non si ha tempo di affrontare sfide più lunghe sul classico tabellone pieno di miniature.



Dalle immagini che circolano in rete, possiamo notare che i dadi presenti nella confezione sono bianchi e su di essi vanno applicati degli adesivi con i classici simboli di HeroQuest. A questo punto, anche se le foto con i testi in spagnolo sono sparite dalla circolazione, possiamo incrociare le dita e sperare in una versione localizzata anche nell’italico idioma.

lunedì 11 gennaio 2021

Game over?


Oggi pomeriggio avevo proprio iniziato a scrivere un post su alcune riflessioni fatte tornando a casa dall'ultima sessione quando - BAM! -Teo se ne esce su WhatsApp con la bomba: "mollo il mastering"!

Non è la prima volta che siamo ad un punto di svolta nella nostra storia di party (vedi qui, oppure qui, o ancora qui...), ma forse quelli che prima erano solo sentori - forse espressi più per trovare nuovi stimoli che come fredde constatazioni - sono diventati ora più evidenti, oppure semplicemente noi siamo più pronti ad affrontare la cosa serenamente  e oggettivamente (o almeno, io - strenuo difensore del gioco di ruolo e di questa campagna di Pathfinder - mi sento così).

In macchina ho avuto il tempo di ripensare alle sensazioni provate nella serata, e sebbene abbia apprezzato la sessione (bello il nuovo modo per gestire agilmente l'assalto e molto bello e realistico il timing dato dal master per organizzare le difese del villaggio), c'era qualcosa che non mi aveva lasciato pienamente soddisfatto, e ho scoperto che questa cosa era stata la mancanza di entusiasmo con cui avevamo giocato. (Qui, lo ammetto, non sono riuscito a non fare paragoni con l'esperienza - seppur diversissima per scopo e stile - che sto facendo conl gruppo di D&D di Bagno, in cui ogni sessione finisce al cardiopalma, con tanto di sogni notturni dedicati - da veri nerd, lo ammetto - e colpi di scena degni della migliore serie tv, anche se anche qui ci sarebbero da fare tante considerazioni...).

Certo, come al solito vanno fatte tutte le premesse del caso: prima sessione dopo 2 mesi di pausa, a loro volta dopo 2 mesi d'estate, a loro volta dopo 2 mesi di lockdown; "solita" missione nella "solita" ambientazione ormai da 6 anni; soliti problemi col giocare ad un gioco che richiede un minimo di sforzo mnemonico per storia e regole in corpi sempre più vecchi e stanchi e con sempre più impegni e pensieri; soliti problemi "tecnici" di orari che non coincidono e anche quando coincidono sono ridotti all'osso; insomma, le solite cose. Però...però...però mi è sembrato che avessimo meno gas, che fossimo meno carichi. Ovviamente mi lascio sempre il beneficio del dubbio, perché magari questo aspetto l'ho percepito solo io, ma mi è tornata a galla - con rinnovata forza e consapevolezza - la "solita" (il primo link sopra risale al 2007!) domanda:

Vale ancora la pena giocare al gioco di ruolo? Per noi, per il nostro gruppo, dato che ci siamo sempre detti che il gdr è un mezzo, uno strumento per consolidare la nostra amicizia? Non sarebbe "finalmente" giunta l'ora di passare a qualcos'altro, dato che questa perdita di entusiasmo generalizzata è diventata evidente?

Tutte domande che mi sono posto e che vi pongo senza la minima vena polemica, ma solo per cercare di non perdere tempo a trascinarci in qualcosa che - come ha onestamente espresso Teo - rischia di essere ingombrante per i nostri ritmi oggi.

Come andare avanti? Come continuare a trovarsi cercando di bypassare tutto ciò che sta rendendo meno entusiasmante Pathfinder?

Penso si aprano principalmente 4 scenari (forse anche qui i "soliti") a cui guardare con rinnovata serenità, frutto sicuramente di una certa maturità personale e "giocatoriale":

1) Continuare con Pathfinder, sistema che conosciamo già da tanto tempo (anche perché è fondamentalmente la terza edizione di D&D), ma con un cambio di Master. Campagna già iniziata, personaggi e ambientazione conosciuti...insomma, un lavoro di mantenimento con un minimo sforzo (se vogliamo considerare “minimo” lo sforzo di trovare un Master, vero problema di oggi).

Mi pare però che - proprio guardando alle premesse - questa strada non sia percorribile, perché - sempre my two cents - sebbene finora abbia visto momenti esaltanti, questa campagna non credo mancherà a nessuno (anche se ricordo di avere avuto la stessa sensazione, ma da Master, quando abbandonammo la campagna della 3.5, che però ora guardo con nostalgia...), oltre al fatto che forse non ci sarebbe nessuno disposto a masterizzare con PG al 10° livello.

2) Rimanere nel gioco di ruolo ma cambiare sistema. In fondo - ce lo siamo sempre detti - il gioco “di ruolo” è la summa dell’esperienza ludica per coinvolgimento e immedesimazione. Personalmente sarei disposto anche a masterizzare una 5ª edizione, che ho imparato a conoscere abbastanza bene (anche perché ci sono moduli di avventura fino al 5º livello, quindi raggiungibili in poco tempo, senza dover arrivare a livelli impossibili da masterizzare con campagne trascinate per anni).

Anche per questa opzione però - che mi solletica non poco, soprattutto perché sto imparando a sganciarmi dal modo in cui ho sempre visto la conduzione del gioco da parte del Master  - intravedo alcuni possibili “bug”. Un gioco di ruolo richiede comunque una certa frequenza, costanza e impegno, e - a meno che non faccia tornare a tutti l'entusiamo per la costruzione di un nuovo alter ego - ci vedrei gli stessi rischi del caso sopra: poca convinzione alla partenza che presto si trasformerebbe in poco entusiasmo, per finire in un’altra cosa “da tirare avanti” (mi viene l’esempio di Cthulhu: bellissima ambientazione, bellissimo sistema, ma tirato per le lunghe - dai nostri tempi eh, non dalla masterizzazione - perde moltissimo del suo appeal).

Certo che - se per qualche congiunzione astrale - questo potesse riportare Viso al tavolo, beh...non ci penserei nemmeno due volte (e questo pallino non me lo toglie nemmeno il re del gomblottismo)!

3) Passare al gioco da tavolo. Si eviterebbe il problema del poco tempo (in 2-3 orette una partita andrebbe via tranquilla, chiacchiere comprese), della poca continuità (se dovesse mancare qualcuno una volta, si gioca senza il suo PG e via), del doversi imparare e ricordare trame, sottotrame, regole e sottoregole. In questo caso si aprirebbero diverse sotto-opzioni, ne illustro giusto tre:

a. Dungeon crawler: possediamo Descent 2 e Sword & Sorcery, senza contare Heroquest customizzabile come vogliamo e Rinnegati Adventures (che prenderò sicuramente) in arrivo l'anno prossimo. Manterrebbero l’appeal del gioco di ruolo (ambientazione, storia, progresso dei personaggi e campagna comprese) unito ai vantaggi del gioco da tavolo. Riduttivo? Probabilmente. Deludente (rispetto alle aspettative)? Forse. Ma si può sempre cambiare dopo un paio di partite senza aver sprecato un centesimo. L’unica vera controindicazione che vedo sarebbe la maggiore discrezionalità rispetto ai gusti personali, e quindi questi giochi potrebbero prestare il fianco a stufare qualcuno più degli altri prima del dovuto.

b. Giochi da tavolo fortemente tematici e con uno sviluppo simile ad una “campagna”. Cito a titolo esemplificativo 4 esempi: Pandemic Legacy, TIME Stories, King’s dilemma, Roll Player Adventures. Giochi con sessioni one-shot il cui risultato incide però sulle partite successive. Più slegati dalla componente fantasy e dal movimento di miniature su mappa, offrono però un’esperienza diversa da quella provata finora e potrebbero essere una ventata di novità (in particolare il terzo simula la gestione di un regno col trono vacante da parte di famiglie con scopi diversi; essere primi in una partita non significa diventare re alla fine!).

c. Giochi da tavolo vari. Abbiamo l’imbarazzo della scelta e, dico la verità, le ultime volte in cui abbiamo giocato ad un “semplice” gioco da tavolo ritagliandoci anche lo spazio per cazzeggiare è stato molto più piacevole (per me che sono sempre stato un sostenitore del gioco di ruolo duro e puro) di quello che mi potessi aspettare. Il punto debole sarebbe la "motivazione". Magari inizierebbe a mancare qualcuno perché ha qualche impegno più importante, poi due, e alla fine non ci si troverebbe più...(tutte ipotesi eh, però da prendere in considerazione se vogliamo riiniziare col piede giusto).

4) Serata di pure chiacchiere, birra, schifezze, magari un whyskino ogni tanto. Se alla fine il motivo è stare assieme, allora il mezzo potrebbe essere anche superfluo. Purtroppo questa scelta sarebbe legata anche ad una minore motivazione, ma “piutòst che gnint”...

Dopo questa piccola analisi lascio voi la palla (e se riuscissimo a scrivere sul blog sarebbe bello perché ne rimarrebbe traccia, dato che il 17 sarebbe anche il 14° compleanno)!

lunedì 4 gennaio 2021

Forte Varn

 

Buon anno! I post languono ma la campagna avanza.
Aspettando il primo resoconto con quanto successo finora, finisco per completezza e memoria storica di postare la situazione del Regno di Greenbow, nel Greenbelt, finora. 
Forte Varn aggiunge alle statistiche del Regno i seguenti bonus: 
Economia = 52;
Lealtà = 55;
Stabilità = 63.

Gli oggetti sono da tirare la prossima volta che torniamo nella capitale (anche per vendere gli altri oggetti e fare cassa)!