giovedì 29 febbraio 2024

I misteri del convento dello Santo Crocifisso


Decidemmo di rimettere i cadaveri nello fango, perché seppellirli avrebbe richiesto troppo tempo (pace all’anima loro) e bruciarli così conciati sarebbe stato impossibile.

Poi, dopo averli spogliati ciascuno di un oggetto di riconoscimento (a partire da quelli di valore ovviamente...) e dopo aver nascosto le monete d'argento che non saremmo riusciti a trasportare, tornammo a Milano (e fu divertente vedere fra Clistere saltellare allegramente sulla via del ritorno, almeno fino a quando non comprammo un mulo dal contadino Randello, che voleva venderci pure la figlia Vetusta) fermandoci al convento del Santo Crocifisso, fuori le mura. Olio ed il nostro frate avevano bisogno di un miracolo per essere guariti dalla peste, e potevamo ottenere qualche utile informazione su fra Sigismondo.

Il primo che incontrammo fu un frate confessore, fra Danko ma chiedemmo subito di un superiore per un miracolo. In realtà l’abate fra Bonifacio non poteva ottenere un miracolo perché temporaneamente fuori dalla grazia di Dio (seppimo dopo che però consigliò in privato a fra Clistere un guaritore...diciamo...poco ortodosso, che praticava di giorno nel cimitero), ma ci fornì preziose informazioni su fra Sigismondo: in un primo momento, scosso, spiegò che era morto per una malattia alle viscere e la famiglia era venuta a ritirare il corpo per seppellirlo nella cripta di famiglia, poi - messo all’angolo - crollò, confessando che era stato trovato morto trafitto nella sua cella, che presentava la finestra rotta, con un biglietto che recitava: “Torneremo per trovare la nostra preda”. La famiglia non ne era al corrente ed i monaci avevano fatto di tutto per non lasciar trapelare la notizia. 

Pensai subito ad un ricercato che cercasse rifugio e nascondimento fra la sicure e riservate mura di un convento, e mi sovvenne la storia del cavaliere Uther von Entermesser raccontataci il giorno prima dai saltimbanchi. L’abate confermò il recente arrivo di un confratello germanico fra Talarico, ma troppo scosso dalla vergogna e dall’imbarazzo si ritirò nella sua cella lasciandoci a pensare. 

Il corpo comunque era stato portato al cimitero (supponemmo dal becchino), per cui non rimaneva che andare per parlagli e fargli qualche domanda anche sugli altri cadaveri. Mentre attraversavamo Milano ci sembrò di essere osservati da uno strano figuro a cavallo, con un cappello dalla lunga tesa, che dopo averci fissato sembrò annotare qualcosa su un taqquino...

Arrivati al cimitero di notte notammo subito dei fuochi e udimmo delle voci femminili: era chiaramente un sabba, e così mandammo avanti Sorca, pur sapendo che se avesse mentito avrebbe vomitato sangue (come avvenne effettivamente, ma per solo due o tre volte...). Le streghe ci avevano comunque sentito avvicinare e avevano lanciato un sortilegio per tenere lontani eventuali uomini di fede, così - lanciata una coperta macchiata a Clistere perché nascondesse i suoi abiti - ci rivelammo. Non sapevano nulla né del becchino, né del guaritore, anche se di notte avevano visto aggirarsi tra le tombe un goullo, una immonda creatura rediviva pericolosa persino per loro. Ci proposero però uno scambio: un sigillo per infuocare chiavi creato da Sorca, in cambio di un amuleto col sigillo di parlare coi morti. Unico inconveniente? Il sortilegio doveva essere pronunciato durante una masturbazione maschile...

lunedì 26 febbraio 2024

Undici cazzi...di meno

Littera di memoria a lo mio Signore.

Quando uno dei servi avvisò lo nostro Signore di quello che aveva trovato tra i ruderi dell'antico acquedotto romano, crollato per un'improvvisa et violenta scossa di terremoto, questi pensò bene di mandare noi, li suoi gaglioffi, ad indagare sull'accaduto, prima che altri Signori potessero metterci il naso (perché lo naso del nostro Signore è lo più grande, et sempre attento all'aria che tira!). Diversi corpi infatti emergevano dalla pozza di fango che si era accumulata alla base dell'antica struttura, e tutti con tratti particolarmente strani et bizzarri (non che la nostra compagnia fosse da meno...per carità).

Io, il fedele Frenulo, assieme al venturiero Brodo, iniziammo ad estrarre i corpi dal fango cercando di metterli in fila per poterli esaminare:

    1. uno era tutto blu, completamente rivestito di vernice (scoprimmo poi da un gruppo di saltimbanchi girovaghi che pochi giorni prima era morto un noto pittore mentre affrescava lo duomo, cadendo proprio dentro ad un barile di colore blu);

    2. uno aveva un grosso porro sul naso e mostrava le tipiche pustole da appestato (e Olio e fra Clistere, parvendogli giusto venirci in aiuto, si infettarono per torglierlo dalla sozzura). Togliendogli la casacca, scoprimmo un tatuaggio del corvo che i saltimbanchi dissero essere il segno distintivo dei Pigliargento,  una banda di banditi di Milano. Era morto con un colpo di lama in testa e nel deretano aveva nascosta una collana di perle;

    3. uno era vestito da donna e Sorca notò assomigliare particolarmente a Bianca Maria de' Bembo, la moglie del duca di Lodi (che effettivamente aveva la fama di avere una consorte piuttosto mascolina...);

    4. uno era vestito dignitosamente ma aveva il ventre gonfio come un otre, e che aperto rivelò un sacco con 4960 monete d'argento!;

    5. un altro era riverso nello fango con un pugnale di pregevole fattura saracena piantato nella schiena;

    6. uno era un uomo grosso, grasso e calvo e Olio lo riconobbe come Clelio il Coito, un cliente del famoso bordello "La Dama d'Oro";

    7. uno aveva una tonaca da prete e Clistere lo riconobbe come fra Sigismondo, del convento del Santo Crocifisso di Milano. Era stato infilzato e possedeva solo una croce ed un breviario;

    8. uno aveva uno strano uncino al posto di una mano, con le iniziali "G.V." incise sopra, e Frenulo lo riconobbe come Gregorio Vicoli detto il Lagrimante: lavorava per il duca Luigi il Tagliacalcagni;

    9. uno teneva abiti molto eleganti e sciccosi, con uno squarcio di lama sulla schiena;

    10. un altro era finito piantato a testa in giù nel fango, con solo gli stivali visibili. Estratto venne riconosciuto da Brodo come Caronte delli Colli, l'ambasciatore torinese presso Milano, e portava un grosso anello con uno stemma. La testa gli era stata spaccata.

    11. l'ultimo infine indossava dei curiosi oculi cum vitro di due colori diversi: blu e rosso. Era ancora vivo ma con una tenia gigante che gli infestava le interiora e che cercò di infilarsi in bocca allo solito sventurato Olio il Disgraziato (d'altronde vendere l'anima al diavolo attira sciagure, si sa...). Fortunatamente questa sciagura fece scappare a gambe levate il famoso (a suo dire) "Pietro il topo", un losco individuo (più losco di noi) che voleva una tassa sulle cose trovate sui cadaveri (ma sarebbe fuggito sicuramente se Sorca la strega gli avesse vomitato qualche bugia in faccia...)

Tutti i cadaveri erano morti da due a sette giorni, ma soprattutto erano stati malamente evirati (anche se qualcuno aveva cicatrici più vecchie della presunta morte)...

Alcuni di questi erano stati riconosciuti dai componenti della nostra compagnia, ma le ipotesi sui quei corpi rimanevano vaghe, anche se si poteva iniziare a restringere lo campo. L'acquedotto arrivava alla chiesa dello San Velato, in direzione di Torino, e probabilmente quei corpi venivano usati per trasportare refurtiva da Milano fino a lì. Ma erano stati uccisi apposta? O morti in circostanze diverse, come sembrava, e poi trafugati prima che li corpi potessero raggiungere lo camposanto? E poteva essere coinvolto lo soldato tedesco disertore, che pareva nascondersi dalla iustizia nei panni di un frate, come aveva rivelato lo povero contadino incontrato?

Recarsi alla chiesa dello Santo Velato o al camposanto o dall'ambasciatore torinese, sarebbero state le successive mosse, ma una domanda ossessionava la mia mente da malandrino sodomita: dov'erano finiti gli undici cazzi??

Il vostro perennemente grato Frenulo.


sabato 17 febbraio 2024

La compagnia della calzetta


Clistere è un frate che si diverte a provocare gli altri e con dei precetti molto stringenti da seguire (primo fra tutti, non parlare di notte).

Sorca è una fattucchiera, in grado di rubare nomi alle persone; possiede una civetta e ogni volta che mente vomita sangue.

Brodo è un venturiero che guidò un'intera armata verso la morte e con un passato da apicoltore.

Olio è un disgraziato cantore sempre malaticcio e contagioso che ha venduto l'anima al diavolo e che porta appresso un lupo (più o meno addomesticato).

Frenulo è un malandrino che ha scontato una pena per sodomia (gli hanno amputato il naso). Ex acrobata, porta sempre con sé un libro nero.

Pronti alla ventura?

lunedì 12 febbraio 2024

domenica 11 febbraio 2024

Il treno del monte Koya

La seconda parte del viaggio si apre con un’ombra che dal cielo plana sul terzo vagone: un uomo col volto coperto, tramite un tradizionale aquilone, atterra sul treno in corsa. L’uomo percorre frettolosamente i vagoni cercando di raggiungere la locomotiva di testa, per poi imbattersi in Abe che stava rifiatando per riprendersi dall’aria viziata: lui e Mei pochi attimi prima sono riusciti a sbarazzarsi del soldato imperiale rimanente mentre il vagone era saturo di nebbia, grazie soprattutto ad una grande maestria e freddezza di quest’ultima che è riuscita ad evitare fendenti letali e ad infliggere ottimi attacchi rapidi. Abe fa quindi la conoscenza di Yoshida, un hunter dalla maschera di dragone mandato come rinforzo ai tre cacciatori, e lo ragguaglia sulla situazione complicata a bordo del treno.

Jiro intanto scopre che il macchinista è un terribile Yokai: si tratta di un Nekomata, un gatto di dimensioni umane e postura bipede in grado di scagliare terribili fuochi fatui e muovere come marionette i cadaveri nelle vicinanze. Dopo alcuni attacchi Jiro rimane gravemente ferito dalle grinfie e dalle sfere infuocate del demone, tanto da parere morto e riuscire miracolosamente a far credere al felino di avere sconfitto il suo avversario.
 
Sentendo rumori e grida, gli hunter dei vagoni passeggeri raggiungono la prossimità della locomotiva e, sfruttando il più possibile la struttura del vagone per barricarsi e nascondersi, riescono a ferire il felino demoniaco, anche se non gravemente. Abe, il più vicino allo Yokai, riesce a recuperare Jiro e portarlo al sicuro, riportando tuttavia ferite importanti. Lo yokai improvvisamente salta sul tetto del vagone di prima classe e inizia a correre verso la coda del treno, mentre uno stormo di cadaveri di corvo si avvicina. I cacciatori riescono a capire che tutto il treno è uno Yokai: provando a colpire sotto le travi dei vagoni si accorgono di un icore violaceo simile ad interiora e utilizzando un amuleto Shenfu riescono addirittura a togliere energia vitale al mostro, ma comprendono che gli attacchi fisici non sortiscono gli effetti sperati, o che probabilmente il punto debole della creatura si trova altrove. Decidono che l’ultima cosa da fare è saltare giù dal treno in corsa, viste le ferite riportate e l’alto pericolo. Purtroppo però il treno non ha intenzione di privarsi del suo pasto: dei tentacoli violacei di carne putrescente e sinistramente pulsante afferrano i piedi dei cacciatori proprio mentre stavano spiccando il balzo: Jiro sbatte la testa e, vista la sua già grave situazione, il colpo gli è fatale. Gli altri rimangono quindi appesi al treno in corsa, udendo una voce: “Nessuno abbandonerà il treno!”.
 
La situazione appare disperata: saranno riusciti i nostri eroi a liberarsi e trovare un modo di estinguere le presenze demoniache a bordo del treno? Nessuno sa come sia finita questa storia. Forse è troppo cruda per essere tramandata? Forse i segreti che essa rivela vanno taciuti? Oppure nessuno è sopravvissuto? La vicenda, così come il monte Koya, rimangono avvolti dal mistero…