lunedì 21 ottobre 2019

Raf, Stranger Things e l'Isola di Fuoco



“Cosa resterà di questi anni ‘80?” Cantava Raffaele Riefoli - in arte Raf - nel 1989.
“Spero niente”, dicevo io ripensando ai capelli cotonati, i giubbotti di pelle con le spalline e il playback dei cantanti nelle trasmissioni tv...

Per me, adolescente degli anni ‘90, quel mondo distava mille anni luce; apparteneva ad un’epoca passata fatta di paillettes fintamente luccicanti come le risate nelle sit-com americane.
Certo, c’era il ricordo degli anni ‘80 della mia infanzia, trascorsa più che felicemente con la mia famiglia tra viaggi e spensieratezza, ma tutto il mondo che c’era attorno mi suonava, dall’alto dei miei 15 anni, terribilmente posticcio.
Il grunge prima e il punk-rock californiano subito dopo avevano spazzato via l’immagine fintamente edulcorata di un mondo da favola, dove gli eroi - anche quelli sfigati - vincevano sempre e la storia finiva sempre con un happy ending. La vita a 15 anni è difficile e finalmente qualcuno lo urlava coraggiosamente dagli schermi di MTV.

Poi con un colpo di spugna il Brit-pop mi ha fatto ricordare che a 17 anni puoi anche essere uno sfigato, ma che ti basta un gruppo di amici veri per girare con la testa un po’ più alta e sentirti il re del mondo. E così, tra paranoie adolescenziali, desiderio disperato di capire chi sei e un cucchiaio di fiducia in se stessi spesso forzato come l’olio di ricino, anche i ‘90 sono trascorsi, relegando il decennio precedente a pura memoria infantile. Certo, avevo conservato maniacalmente i miei Lego, i giochi di società della MB, gli unici due Mask posseduti ed i cataloghi della Gig su cui mi ero consumato gli occhi prima dei Natale, ma erano reliquie di un tempo passato, e a 20 anni suonati il nuovo millennio con i suoi led aveva spazzato via anche il gusto per le lucine multicolor RGB dell’albero di Natale, e con esse i tanti orpelli dell’infanzia (compresi i materiali - nei miei pensieri facilmente rimpiazzabili - dell’Isola di fuoco, niente più ormai che un gioco dell’oca esteticamente sontuoso quanto inutilmente lungo).
Ora andavo all’università, era definitivamente tempo di crescere, e dalla crisalide dei 2000 stava venendo fuori una farfalla niente male, con una sua identità, e non c’era spazio per le cose - seppur legate a ricordi belli - del vecchio bruco. 
Se guardo indietro, due cose avevano attraversato indenni quel quarto di secolo: la musica, sempre più importante nella mia vita perché era lo strumento con cui riuscivo ad esprimermi al di là della mia timidezza (e ne stava diventando anche la cura), ed il gruppo di amici, coagulato attorno a quella fantastica esperienza che era ancora il gioco di ruolo.

Il cammino di fede intanto aveva subìto un’accelerazione esponenziale e mi stava facendo fare anni luce di strada verso la consapevolezza e l’accettazione di me, e così, se l’adolescenza era trascorsa “confusa e felice”, e gli anni dell’università mi avevano trovato impegnato e determinato, i 30 sono passati sempre più certi e sereni, e mi ritrovo sulla soglia dei 40+1 con una moglie paziente, 4 figli pieni di vita, un lavoro che amo e una grande casa ancora da finire.
“Bene, ora sì che sei un adulto” potrebbe pensare il vecchio che è in me (mentre l’eterno adolescente sarebbe già agitato al solo pensiero della monotonia, cercando di escogitare mille soluzioni per scappare dalla routine quotidiana). Però...
Però da qualche tempo il “bambino dentro” (grande De Matteis!) si è svegliato e sta reclamando di nuovo un po’ di spazio... Crisi di mezz’età? (Quella che una volta faceva cambiare macchina per una spider - e oggi fa cambiare moglie/famiglia - ma un nerd è pur sempre un nerd, ed il ritorno di fiamma per il primo amore è sempre dietro l’angolo, e così dopo aver attraversato fumetti, Magic e Warhammer, si torna al caro vecchio gioco da tavolo?).

Non so, forse sarà stata la magia di Stranger Things, o l’esplosione del mondo dei boardgame che ha trovato in noi quarantenni il target ideale per essere accalappiati dai retrocloni vintage dei nostri mitici giochi, o il fatto che i figli hanno ormai la stessa età che avevi tu quando hai visto per la prima volta i Goonies o i Ghostbusters... Rimane il fatto che - cosa che fino a solo qualche anno fa non avrei mai considerata possibile - ho incominciato a riapprezzare gli anni ‘80...(e sentirmelo dire suona come un sensazionale coming out)!
E non dal punto di vista dei ricordi (quelli sono stampati indelebilmente sulla faccia più assolata della memoria), ma proprio dell’estetica a tutto tondo. E me ne sono accorto ascoltandomi cantare Never ending story alla fine di Stranger Things. È stato come un richiamo ancestrale che è venuto su da dentro e s’è fatto spazio prepotentemente attraverso le corde vocali seccate dalla musica “bella” (quella “vera”, che si rifà al rock-blues dei ‘60) e le fauci serrate da quella “indi”; e la cosa ancor più strana è che mi sono accorto che polmoni, corde vocali e bocca stavano felicemente cantando assieme come tre amici al pub davanti ad una birra!
Ho guardato i ciuffi, i cappellini di rete e i calzettoni a mezza gamba con la tenerezza di un padre che guarda compiaciuto i suoi figli impacciati, e ho scoperto in quell’istante di aver fatto pace con gli anni ‘80.
Che dire...probabilmente non comprerò la nuova edizione dell’Isola di fuoco (anche perché non sono un nostalgico, e penso che la minestra riscaldata non sia poi così buona. In fondo in questi 30 anni sono cresciuti e si sono raffinati anche i miei gusti ludici), ma se trovassi la vecchia versione originale ad un buon prezzo la ricomprerei per farci fare qualche partita ai miei figli, nella speranza che possa contribuire alla costruzione di una loro memoria felice che magari fra trent’anni possa a sua volta tornare a galla al grido di “never ending sto-ory-yyy-yyy-yyy”.

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