Ultimo articolo che rimbalzo da Dietro lo schermo, sulla mancanza di abilità nella Vecchia Scuola.
Don’t check to succeed, roll to avoid bad stuff – Non tirare per vedere se hai successo, ma per vedere se eviti cose brutte. Uno dei più frequenti mantra dell’OSR, dove in genere si esaltano i tiri salvezza in contrapposizione con le più criticate prove di abilità / caratteristica.
I pregi
Per i suoi sostenitori, questo approccio serve a chiarire una volta per tutte in quali casi bisogna tirare. Secondo loro, anche se possono esserci casi in cui apparentemente un tiro salvezza e una prova di caratteristica sono simili, è importante impostare il gioco sul concetto che quello che innesca i tiri è evitare un pericolo: a quel punto ci saranno molti casi in cui, rispetto al “tipico” D&D, i dadi non verranno tirati affatto (l’esempio tipico che viene citato è quello di scassinare una porta).
In altre parole, il principale pregio è evitare tiri di dado inutili. E non si può che lodarlo! Purtroppo ho visto diverse volte giocatori che si affrettavano a tirare il dado ancora prima di aver spiegato che cosa sta facendo il PG (e aver lasciato che sia il Diemme a stabilire se serve un tiro o no, come dovrebbe essere). Così come Diemme che facevano tirare dadi per qualsiasi cosa, senza soffermarsi un attimo a riflettere su quale fosse la posta in gioco, salvo poi rimanere perplessi in caso di tiro fallito (da lì a inventarsi robe goffe come il fail forward il passo è breve).
Il criterio di cui stiamo parlando indica, invece, chiaramente quando bisognerebbe tirare il dado: solo in situazioni in cui il personaggio sta rischiando qualcosa; secondo alcune interpretazioni, solo in situazioni in cui è a rischio il personaggio stesso, la sua incolumità. In Melting Tower, ad esempio, si dice di fare un tiro salvezza “ogni volta che rischi di perdere tempo prezioso, risorse o salute tentando di compiere un’azione difficile” (come vedete, non si parla di rischiare di fallire l’azione).
Vale anche la pena ricordare che la filosofia OSR enfatizza le capacità del giocatore rispetto a quelle del personaggio, come abbiamo visto nell’episodio 4 e nell’episodio 5 di questa serie.
Per molti suoi sostenitori, addirittura, il fatto di arrivare a tirare il dado è sempre, già di per sé, una sorta di fail state, il segno che qualcosa è andato storto: lo scopo del giocatore dovrebbe essere risolvere la situazione senza arrivarci neanche, al tiro di dado. A questa cosa (su cui ho una visione un po’ critica) mi riprometto di dedicare un altro articolo in futuro. Ma credo che aiuti a spiegare il motto che dicevo all’inizio.
Infine, alcune persone con cui ho parlato hanno sottolineato come per loro sia importante che le probabilità di successo dipendano dal livello del personaggio e non dai suoi punteggi di caratteristica. I tiri salvezza delle primissime edizioni di D&D, e di molti “retrocloni” o derivati OSR, hanno proprio questa proprietà. Dare poca rilevanza meccanica ai punteggi di caratteristica (che in questi giochi, non dimentichiamolo, sono spesso altamente casuali) è visto come un modo per evitare il min/maxing (cioè la “gara” a farsi il personaggio più potente) e per evitare che i giocatori “cerchino sulla scheda” le soluzioni ai problemi, anziché ragionare col buonsenso sulla situazione immaginata.
I limiti
Evitare brutte cose (avoid bad stuff) sembrerebbe un criterio chiaro. Detto così, però, sposta solo il problema: che cosa consideriamo come brutte cose?
Se le consideriamo solo un danno diretto al personaggio (alla sua incolumità, o alla sua possibilità di agire – es. paralisi, confusione…), il perimetro è davvero chiaro ma ci perdiamo un sacco di belle situazioni di gioco: quelle in cui il personaggio lotta per evitare una cosa che non lo danneggia affatto.
Considerate questo esempio: un tesoro prezioso sta cadendo dal suo supporto e rischia di rompersi sul pavimento, e un PG vorrebbe afferrarlo al volo.
Era riferito a Cairn, gioco OSR “ultraleggero” in cui esistono solo tiri salvezza… ma legati alle tre caratteristiche. Per cui viene il dubbio, lecito, di fino a che punto siano tiri salvezza e non tiri di caratteristica. Il testo dice: to avoid bad outcomes from risky choices and circumstances, per evitare un esito negativo di una scelta o situazione rischiosa. L’esempio ci rientra?
Se applicassimo l’approccio più ristretto verrebbe da dire di no: il personaggio, di per sé, non è a rischio. Ma la situazione è obiettivamente incerta. Non sarebbe un peccato risolverla in modo automatico, con un puro sì o no deterministico? Da Diemme mi darebbe poca soddisfazione.
Qualcuno ha proposto questa soluzione: tuffandosi, il PG riesce a salvare il tesoro, ma deve fare un tiro salvezza per evitare di farsi male. Non è che sia una brutta idea, ma ci vedo un difetto: in questo modo il tesoro non è mai a rischio se il giocatore non vuole che lo sia; se il tiro va male il PG prende danni, l’incertezza si sposta tutta lì. Invece fare che, se il tiro va male, il tesoro si rompe a me sembra un ruling molto più interessante, oltre che più plausibile.
Insomma, il punto secondo me è se accettiamo l’idea che il rischio (la “brutta cosa” che succede in caso di fallimento) possa consistere in qualcosa di diverso da un danno al PG. Che possa consistere, in senso lato, nel perdere qualcosa che voleva: un danno alle sue ambizioni, diciamo così. Per i miei gusti la risposta è sì.
Alcuni hanno fatto un’altra proposta: mantenere l’incertezza ma con un tiro indipendente dalla scheda del PG, con una probabilità stabilita ad hoc dal Diemme. In Cairn questa cosa si chiama Die of Fate. In altri giochi potremmo usare un tiro percentuale, ad esempio.
Anche questo non è male in assoluto, ma ci porta a una seconda domanda: nella situazione descritta, vogliamo che le capacità del PG (il suo livello, e/o la sua Destrezza – in Cairn il livello non c’è) contino qualcosa? Di nuovo, per i miei gusti la risposta è sì.
E le risposte che Yochai Gal, autore di Cairn, ha dato a quello specifico esempio non sono molto dissimili dalle mie:
[Il PG] non è personalmente a rischio. Qualcosa che vuole è
a rischio. […]
Il Warden [il Diemme, NdT] dovrebbe semplicemente
“lasciare che la cosa succeda” in questo caso? O dovrebbe usare un Die of Fate?
Ma usare il Die of Fate sembra ingiusto nei confronti del PG: il giocatore
potrebbe sostenere che il suo background, la sua esperienza o le sue stat sono
di aiuto!
Non so con certezza quale sia la risposta qui,
onestamente penso che dipenda. Ma qualche volta… un tiro salvezza è richiesto,
e NON a causa di un pericolo.
traduzione mia, parziale (vedi appendice per lo screenshot del
testo originale)
Andiamo oltre
Credo che siamo tutti d’accordo che quando e perché si innescano i tiri sia una delle caratteristiche distintive fondamentali di un gioco di ruolo, e sia quindi importante chiarirlo bene. Come ho cercato di fare, nel mio piccolo, con la mia serie sul flusso di gioco.
Un approccio acritico al “tirare per riuscire a fare cose” (come spesso vengono concepite le prove di abilità/caratteristica) può senza dubbio portare a delle degenerazioni: tipo, casi in cui si tira anche per cose triviali, o in cui si tira ma il fallimento non ha costi né conseguenze. “Salgo le scale” – “Tira su Scalare” – “Ma sono scale normalissime” – “Tira lo stesso” – “Ops, ho fatto 1” – “Inciampi e… ehm… poi ti rialzi e ricominci a salire, tira di nuovo”.
D’altra parte, anche un approccio acritico al “tirare per evitare brutte cose” non è esente da degenerazioni, anche se spesso non ci pensiamo. Immaginate: “Stai viaggiando e… a un certo punto scivoli e rischi di cadere in un burrone! Fai un tiro salvezza”. Se il Diemme mi fa piovere addosso sfighe così, di punto in bianco, e tutto quello che posso fare è affidarmi alla dea bendata per il tiro salvezza, non è che il gioco sia entusiasmante. Lo sanno bene i cultori dei Principia Apocrypha, che non a caso dedicano molta attenzione a scongiurare questa evenienza.
Ritengo che siamo abbastanza maturi per superare la contrapposizione tra “tirare per fare” e “tirare per evitare”.
Ma quello che secondo me ci aspettiamo come caso tipico in cui si tira, nei nostri giochi D&D-like, è il giocatore che, pur di ottenere qualcosa di incerto, decide di esporre il PG ad un rischio. Sono consapevole di essere in una situazione pericolosa (e, probabilmente, di cosa rischia di andare storto). Ho fatto tutto quello che potevo per mitigare le incertezze, ma qualcuna evidentemente rimane. Però, siccome c’è qualcosa che voglio, sfido il pericolo per provare ad averlo.
È un “tirare per fare X ed evitare Y”: la situazione è incerta, tiro, se va bene ottengo X (le conseguenze del successo, nel mio flusso), se va male subisco Y (le conseguenze del fallimento).
Esempio stupido: scalare una parete di roccia; se ho successo arrivo in cima, se fallisco cado. A questo punto, chiamarlo prova di abilità o tiro salvezza, chiamarlo tiro per arrivare in cima o tiro per evitare di cadere, è solo una questione semantica che lascia il tempo che trova.
Ha importanza se è un tiro d6 secco, o un tiro percentuale di scalare pareti, o un tiro salvezza contro paralisi, o un tiro sulla caratteristica Forza, o un tiro sull’abilità Atletica? A livello prettamente meccanico sì, certo. Ed è più che lecito avere le proprie preferenze. Ma non mi sembra una differenza così radicale. All’atto pratico abbiamo individuato la medesima incertezza, e le medesime conseguenze in caso di successo e di fallimento, quindi procediamo a tirare un dado per determinare cosa succede. Una delle tante riconferme che la grande famiglia di D&D presenta una solida ossatura di somiglianze, al di là delle differenze.
Nota finale
Considerate espressamente esclusi da tutto questo discorso i famigerati “tiri di Percezione” e affini, inclusi i tiri di conoscenza, quelli per “intuire” se qualcuno mente, e così via. Insomma, tutti i tiri che non corrispondono a una vera e propria azione del personaggio e hanno come unico effetto quello di fornire informazioni al giocatore.
Non voglio eludere l’argomento, ma va trattato a parte e ci scriverò un altro articolo. (Già questo l’avevo pensato breve ed è venuto un mattone…)