lunedì 26 agosto 2024

Storia e Railroading: direttamente proporzionali? - Part 2: Un altro approcio

Proseguimento dell'articolo nel post precedente. Se siete pigri andate direttamente alla bottom line per il riassunto.

L’altro approccio

L’altro approccio per avere la storia appassionante in un gioco tradizionale è rinunciare a raccontare la storia appagante, e lasciare che una qualche storia si crei da sola come fenomeno emergente.

I sistemi tradizionali hanno regole strutturate in modo più o meno esplicitamente simulativo. Con questo intendo dire che le regole, piuttosto che cercare di riprodurre una certa struttura narrativa, si prefiggono solo di rappresentare in modo coerente la realtà del gioco – una realtà di gioco che può essere anche molto diversa dalla nostra. Ecco, in questi giochi l’approccio più naturale è usare le regole per lo scopo per cui sono state create – simulare una certa realtà fittizia – e fermarsi lì.  Il DM abbandona l’idea di intervenire sulla storia, spingendola in una direzione piuttosto che in un’altra, e lascia che questa emerga naturalmente dalla realtà fittizia creata dalle regole e dalle azioni dei giocatori.

Come funziona in pratica? In questo tipo di gioco, il GM delinea un ambiente o una situazione, magari offrendo alcuni spunti per avventure e/o luoghi da esplorare; i giocatori poi possono fare quello che vogliono e decidere le proprie avventure. Sono i giocatori il motore di quello che succede – il GM ha un ruolo passivo, e si limita a reagire alle scelte dei giocatori; il suo compito è semplicemente quello di realizzare in gioco le conseguenze delle loro azioni (di solito improvvisando). Questo tipo di gioco è noto anche come SANDBOX.

L’esempio più antico di questo tipo di gioco è l’hexcrawl, un tipo di campagna di esplorazione pura molto popolare negli anni ’70 e primi anni ’80, e ritornata di recente in voga grazie all’OSR. Un tipo di campagna più “story-oriented” potrebbe essere creato elaborando situazioni in cui ci sono fazioni, forze e/o png con motivazioni, obiettivi e interessi in conflitto tra loro e con quelli dei personaggi, di modo da creare una rete più o meno complessa di relazioni. I personaggi, con le loro azioni, andranno ad influenzare una o più di queste relazioni, provocando delle reazioni. Il resto si evolverà naturalmente.

Chi è interessato alle campagne sandbox probabilmente vorrà dare un’occhiata ai giochi della Sine Nomine Publishing, specialmente Stars Without Number che è gratuito. Contengono ottimi suggerimenti e strumenti per creare campagne di questo tipo, che sono un po’ il marchio di fabbrica della SNP.

Qual è lo svantaggio della campagna sandbox? Sicuramente che è pesante per il GM, che deve passare un certo tempo a prepararsi prima delle sessioni, e soprattutto essere bravo a improvvisare; e poi che richiede ovviamente giocatori proattivi. Dal punto di vista dell’ottenimento di una storia drammaticamente appagante, lo svantaggio della campagna sandbox rispetto al gioco tradizionale è che è inaffidabile. Sicuramente si verrà a creare una qualche storia, ma non è detto sia appassionante – e lo dico per esperienza. Se lasciate veramente libertà ai giocatori, è possibilissimo che emerga naturalmente una storia appassionante (nata dall’improvvisazione), ma questa sarà il risultato di uno o tutti questi fattori 1) un bravo GM; 2) bravi giocatori 3) il caso. In una sandbox autentica può venire fuori la storia emozionante, ma può anche venire fuori una storia mediocre dal punto di vista drammatico, o addirittura una storia che si interrompe in modo anticlimatico (esempio: total party kill intempestivo ad opera di mostri insignificanti). Inoltre, la storia emergerà a posteriori – dopo la sessione, ci guarderemo indietro e ricostruiremo una trama.

Naturalmente, una campagna sandbox può essere comunque divertente anche senza la storia emozionante – dipende da quali elementi i vostri giocatori traggono il loro divertimento. E, dal mio punto di vista, uno dei take home messages di questo articolo è un po’ questo: non avete necessariamente bisogno della storia appassionante per divertirvi. C’è stata, negli anni, una tendenza a far credere ai giocatori che il buon gdr produce necessariamente la bella storia, ma non è così. Il gdr può essere divertente e ben riuscito anche quando la storia è di per sé deludente. E come sempre, finché la gente si diverte, va tutto bene.

Una cosa che vorrei chiarire è che la stragrande maggioranza delle campagne adottano in realtà un approccio ibrido tra i due che ho presentato. Cioè, pochissime campagne sono o del tutto sandbox, o del tutto composte da una storia completamente pianificata. Le campagne che la gente gioca nella vita reale spesso presentano elementi di entrambi gli approcci, anche se solitamente uno dei due prevale sull’altro. Vale a dire: alcune campagne sono tendenzialmente sandbox, altre tendenzialmente storia-predeterminata. Molte campagne possono oscillare tra questi due poli nel corso del gioco; per esempio, nel corso degli anni diverse mie campagne sono partite con un abbozzo di storia predeterminata (in pratica, un aggancio per l’avventura, seguito da quello che, a grandi linee, mi aspettavo che sarebbe successo); ma quando i giocatori si sono allontanati da ciò che mi aspettavo, o comunque quando hanno cambiato le carte in tavola con le loro azioni, queste campagne sono ben presto deviate verso il sanbox: a quel punto ho iniziato ad improvvisare e far reagire PNG/fazioni/mostri/l’ambientazione in maniera coerente rispetto alle azioni dei giocatori, abbandonando qualunque idea avessi circa lo sviluppo della campagna.

I giochi non tradizionali e il motivo per cui hanno tutte quelle regole bislacche

Abbiamo visto che in un gioco di ruolo tradizionale ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, che per definizione è un sistema molto affidabile (è già scritta!). Tuttavia, questo approccio ha dei grossi problemi, e di fatto può essere mantenuto solo utilizzando strategie spesso non desiderate dai giocatori. Più raramente (almeno nella mia esperienza) i giocatori richiedono la presenza di una storia già scritta, ed accettano che il DM faccia il possibile per mantenerla: in quest’ultimo caso, finché tutti si divertono e sono d’accordo, va tutto bene. L’approccio concettualmente opposto è dare completa libertà d’azione ai giocatori, e lasciare che la storia si crei da sola in modo naturale. Questo approccio mantiene la libertà dei giocatori e tende a risultare più accettabile. Tuttavia, non funziona molto bene con giocatori passivi ed ha, tra le altre cose, il grosso svantaggio di non essere in grado di produrre affidabilmente una storia appassionante. A volte si creerà, a volte no. So it goes.

Proseguiamo adesso con la nostra storia.

La nuova enfasi sulla storia si diffuse rapidamente anche al di là di D&D: nel 1991, due anni dopo AD&D 2e, sarebbe stato pubblicato Vampire: The Masquerade, forse il gioco più iconico degli anni ’90. Vampire, almeno in teoria, era un gioco che si compiaceva del proprio focus sulla storia, sulla narrazione, sull’intrigo, e sull’introspezione personale – autodefinendosi “a game of personal horror” (in it. “un gioco di intimo orrore“).

Gli anni ’90 passano. Vampire: the Masquerade è giocatissimo. AD&D 2e sforna degli storici Campaign Settings piuttosto focalizzati sull’elemento storia (vedi Planescape). I videogame di Final Fantasy, caratterizzati da storie complesse e coinvolgenti, si diffondono rapidamente in occidente. Insomma, tutti vogliono storia, storia, storia. Negli anni ’90 si inizia anche a sperimentare – per esempio, nel 1991 esce Amber Diceless, il primo gioco di ruolo a non utilizzare dadi; nel 1999 uscirà Nobilis, altro gioco diceless piuttosto, uh, cerebrale (i giocatori interpretano concetti astratti personificati. No, davvero. …WTF?!). Gli anni ’90 sono però anche un periodo di profonda crisi per il gdr cartaceo, minacciato dal diffondersi dei giochi per computer, sempre più elaborati, e dal successo dei giochi di carte collezionabili (come Magic: The Gathering). C’è un’aria tesa nell’industria dei gdr, costretta ad assecondare i capricci del mercato e inventarsele di tutte pur di rimanere a galla: gli anni ’90 sono anche il decennio degli splatbooks.

Arriviamo quindi alla fine degli anni ’90, e facciamo la conoscenza di Ron Edwards, PhD. Edwards era un insegnante di biologia e dottorando all’Università della Florida, e nel tempo libero scriveva giochi di ruolo. L’intero movimento legato ai giochi “indie” (indipendenti) come lo conosciamo oggi nacque perché Edwards divenne disilluso nei confronti dell’industria editoriale commerciale per diverse ragioni. I contratti tra autori e case editrici tendevano a dare molto controllo sul prodotto alla casa editrice – per esempio, la casa editrice poteva decidere unilateralmente di produrre una nuova edizione di un gioco, che l’autore fosse d’accordo o no. Tanto per parlare di un gioco che tutti conosciamo, D&D è ora alla sua quinta edizione. Ecco, se domani la WotC decidesse di pubblicare la sesta edizione di D&D, e Mike Mearls non fosse d’accordo, non sarebbe certo lui ad avere l’ultima parola. “Indie”, quindi, significa solo questogiochi che sono autopubblicati, in modo tale che l’autore mantenga il controllo sul proprio prodotto.

Spinto dalla propria insoddisfazione, più o meno nel 1999 Edwards avviò un sito dedicato ai giochi pubblicati da autori indipendenti, che allora non erano molti. Quel sito qualche tempo dopo (nel 2001) sarebbe stato ribattezzato The Forge. Su quel sito poteva discutere chi era interessato ai giochi indie (autori o meno), e tra le altre cose si parlava anche di teoria e game design. È in questo contesto che Edwards avrebbe sviluppato la Teoria GNS, che più tardi sarebbe stata incorporata in un framework teorico più ampio, il Big Model. L’articolo di Edwards comunque è comprensibile anche senza sapere niente di teoria GNS. In pratica, il nocciolo della sua argomentazione (spiegato con parole mie) è che la gente, in un gdr, trae il proprio divertimento attraverso la soddisfazione di “appetiti” diversi, che non sempre sono compatibili tra loro. Un gioco di ruolo progettato per assecondare un appetito specifico è meglio di un gioco che tenta di soddisfarli tutti, o che è progettato senza una chiara idea di quale appetito stia cercando di soddisfare. Questo perché il gioco che tenta di soddisfarli tutti non ne soddisferà pienamente nessuno: ogni tipo di giocatore troverà qualcosa del sistema che gli piace, ma anche qualcosa che lo disturba.  Invece, il gioco che tenta di soddisfare un tipo specifico di appetito soddisferà una sola tipologia di giocatore, ma almeno la soddisferà pienamente. Edwards nell’articolo individua tre forme principali di appetito autoescludentisi, o “creative agendas” (intenti creativi) nel gergo forgita: gamista (= il gdr visto come esperienza di gioco, in cui il divertimento consiste nel superare delle sfide), simulazionista (= il gdr visto come strumento per esplorare una particolare realtà o un genere), e narrativista (= il gdr visto come occasione per raccontare una storia, anche se in realtà questa definizione è imprecisa). Si può essere o meno d’accordo con questa visione delle cose; comunque l’articolo è ben argomentato ed è molto interessante, per cui consiglio di leggerlo con una mentalità aperta, a prescindere dalle proprie idee. Per quanto riguarda me, sono d’accordo in linea generale su alcune argomentazioni (es. che il sistema è importante per favorire una certa esperienza di gioco), ma meno su altre (es. che questi intenti si escludano tra loro).

Sia come sia, Edwards non ha mai fatto mistero di essere uno che giocava per raccontare una storia, e di essere insoddisfatto dei giochi che promettevano ai giocatori la capacità di raccontare grandi storie, senza che il regolamento facilitasse questo compito. Ecco perché molte persone che hanno abbracciato la visione forgita odiano Vampire: The Masquerade e, in minor misura, AD&D 2e. Erano due giochi molto popolari che promettevano grandi storie, ma non mantenevano le loro promesse. Ed ecco perché i designer associati a The Forge tentarono di rimediare a questa mancanza con giochi dalle regole non convenzionali, concepite per facilitare la creazione di specifiche storie, strutturate in modo preciso. Gli individui collegati a vario titolo a The Forge furono quindi il secondo gruppo di persone che giunse ad odiare la nuova attenzione alla storia dei gdr tradizionali, poiché vissero il tutto come una menzogna o una promessa non mantenuta. (Il primo, ricordiamolo, sono i grognard old school, che hanno visto questa attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originale del gioco.)

(Tra parentesi: notare che Edwards e compagnia bella non sostenevano che fosse impossibile raccontare una storia con i giochi tradizionali, tutt’altro – si lamentavano però che il regolamento non facilitasse od ostacolasse questo compito) (altra parentesi: dovrei precisare che la storia come la intende Edwards è diversa dalla storia come l’ho definita io un po’ di righe fa – Edwards ha una sua definizione particolare di cosa costituisce una storia nell’ambito di un gioco narrativista, che è molto più restrittiva della mia definizione).

Dicevamo. I frequentatori della Forgia furono molto influenzati dalle idee di Edwards, e iniziarono a progettare giochi seguendo la stessa logica. Dato che la stragrande degli utenti del forum giocavano per raccontare storie, i giochi che vennero prodotti erano molto focalizzati sulla storia, e vennero associati a quello stile. Con il tempo, gioco indie divenne (impropriamente) sinonimo di “gioco non tradizionale fatto per raccontare storie”.  In realtà gioco indie vuol dire semplicemente gioco di ruolo autopubblicato in cui l’autore mantiene il controllo della propria creazione. Stop. I giochi sfornati dalla forgia erano anche indie, ma non tutti i giochi indie sono forgiti o narrativisti. [...] La definizione probabilmente più corretta per questi giochi è “non-tradizionali”, il che li contrappone ai giochi “tradizionali”. Si caratterizzano infatti per meccaniche non convenzionali, più o meno sperimentali, che scardinano alcuni degli assunti dei giochi tradizionali – es. dando maggiore controllo narrativo ai giocatori, progettando meccaniche senza logiche simulative, eliminando parti del gioco considerate fondamentali nel gdr tradizionale (come la presenza di un GM), etc. etc.

Alcuni (tra cui me!) tendono a non amare molto questo tipo di meccaniche, perché possono spezzare l’immersione nel gioco (parlo soprattutto delle meccaniche che forniscono controllo narrativo al giocatore). [...] Penso tuttavia che l’esistenza di The Forge sia stata utile perché:

1) ha catalizzato la creazione di un sacco di giochi innovativi. Alcuni mi piacciono, altri no, altri mi lasciano indifferente. Ma va bene: non sono giochi che magari sono interessato a giocare personalmente, ma sono contento che esistano. Sono contento se rispondono agli appetiti di qualcuno. E comunque alcune idee nate da questi giochi hanno contribuito ad innovare anche nell’ambito dei giochi tradizionali.

2) hanno promosso la creazione di giochi che servivano un tipo di giocatore fino a quel momento bistrattato dall’industria – il giocatore che giocava per la storia. Sono dell’opinione che ci siano giochi adatti e giochi meno adatti alle preferenze delle singole persone. Sono contento di vedere giocatori soddisfatti con i giochi non tradizionali, piuttosto che vederli lamentarsi sui forum perché non riescono a ottenere quello che vogliono con D&D o PF o che ne so. Ognuno fa i suoi giochi in pace, e tutti siamo felici. Win-win.

3) ha spinto all’autoriflessione e all’autocritica su un sacco di temi (l’autorità del DM, rapporti disfunzionali tra giocatori, la necessità di riconoscere le motivazioni delle persone, etc), e penso che da questa riflessione e autocritica ne abbia tratto beneficio anche il gioco tradizionale.

Bottom line

A partire dalla metà degli anni ’80, il gioco di ruolo si allontana dalle proprie radici introducendo l’idea di giocare per raccontare una storia. Dal punto di vista della storia, le campagne giocate con giochi tradizionali sono tipicamente comprese all’interno di uno spettro: ad un estremo dello spettro troviamo la campagna con la storia predeterminata che sarà seguita durante il gioco effettivo; all’altro estremo troviamo la campagna priva di qualunque storia predeterminata, che invece emerge naturalmente, sul momento, durante il gioco. Entrambi questi approcci hanno pro e contro, e in linea di massima nessuno dei due è intrinsecamente sbagliato, purché i giocatori diano il proprio consenso informato e si divertano; tuttavia, l’approccio “storia predeterminata” è spesso imposto a giocatori che non lo desiderano, e come tale è generalmente malvisto. Alla fine degli anni ’90 iniziano ad emergere giochi non-tradizionali, che adottano un approccio nuovo: le loro meccaniche facilitano in vario modo la creazione di storie. Questi giochi esplodono anche grazie a The Forge, una community ora defunta che fece da punto di raccolta per autori e giocatori insoddisfatti del proprio gioco. Parecchie idee nate nel contesto della Forgia hanno influenzato lo sviluppo di molti giochi recenti, per altri versi tradizionali, e hanno cambiato la cultura dei gdr in generale.

Qual è il take-home message?

  • Non tutti i giocatori hanno necessariamente bisogno di una storia appassionante per divertirsi, che è un’idea che non è sempre stata intrinseca al gioco di ruolo (vedi il sandbox play, che generalmente è divertente pur essendo incapace di produrre affidabilmente storie degne di nota).
  • Ai vostri giocatori potrebbe andare bene di giocare una storia predeterminata, e potrebbero anche accettare un po’ di railroading pur di rimanere sui binari; però non datelo per scontato! Prima di farlo, parlate con loro e chiarite le vostre aspettative reciproche. In caso di dubbio, l’approccio più safe è rinunciare alla propria storia predeterminata per non annullare la libertà d’azione dei vostri giocatori, e far reagire l’ambientazione alle loro scelte.
  • Più o meno è la stessa roba per barare – ai vostri giocatori potrebbe andare bene che il DM modifichi i tiri di nascosto per esigenze di storia, ma potrebbero anche non gradire l’idea. Prima di farlo, parlatene con loro. Se non vogliono, trovate un’altra soluzione.
Se siete insoddisfatti del vostro gioco, prendete in considerazione l’idea che forse state usando il sistema di gioco per scopi diversi da quelli per cui è stato concepito. Forse le vostre aspettative non si allineano bene a quelle del gioco. Tenete presente che ci sono tanti giochi di ruolo a vostra disposizione, e magari uno di questi potrebbe esservi più congeniale. Se per voi la storia è davvero importante, e ritenete che D&D o Pathfinder non vi soddisfino, ci sono molti giochi che sono stati progettati per produrre storie. Se è la vostra idea di divertimento, funzionano.

lunedì 19 agosto 2024

Storia e Railroading: direttamente proporzionali? - Part 1: le scappatoie

Dall'articolo sul forum Dragonslair: I giochi di ruolo e la storia: lo spiegone di greymatter

La storia che non c’era

Verso la metà degli anni ’70, due tizi chiamati Gary Gygax e Dave Arneson misero assieme le loro idee  e crearono Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo. Gygax contribuì attraverso le regole di Chainmail, un wargame medioevale con elementi fantasy (molto inusuale per l’epoca) creato traendo ispirazione da idee che circolavano all’epoca tra gli appassionati di wargaming. Arneson fu quello che innestò il concetto di roleplaying vero e proprio sulle regole di Gygax, trasformando Chainmail nel primo gioco di ruolo in assoluto. Il successo di questo strano gioco innovativo fu enorme, e D&D si diffuse rapidamente negli USA attraverso il passaparola.

In questi primi anni, il gioco di ruolo era in fase embrionale, e abbastanza diverso da come siamo abituati a pensarlo oggi. Tanto per cominciare, era probabilmente giocato in modo simile a come oggi giocheremmo un boardgame. Il focus del gioco era il dungeon crawl o l’esplorazione di un’area: i personaggi tipicamente esploravano un dungeon con lo scopo di recuperare il tesoro, ammazzando o meno dei mostri nel processo. Poi c’erano parecchi più giocatori. Un documento affascinante è contenuto in questo PDF di 80 pagine, che dettaglia una campagna di D&D nei primi anni ’70, Rythlondar. Si può vedere che ciascuna spedizione nel dungeon aveva 7-12 giocatori, con tassi di mortalità altissimi per gli standard odierni. Inoltre il gioco aveva aspetti competitivi: c’erano ad esempio tornei di D&D, con vere e proprie condizioni di vittoria. C’era anche un rapporto diverso tra GM e giocatori, fatto più di antagonismo che di collaborazione. Questo rapporto era parzialmente basato sull’idea che il GM fosse una sorta di signore assoluto del gioco, e fosse quasi in competizione con i giocatori: “As the DM, you have to prove in every game that you are still the best. This book is dedicated to helping to assure that you are.” –  Dungeon Master’s Guide di AD&D 1e (1979)

All’epoca non c’era nemmeno l’idea che i personaggi fossero “eroi”/”protagonisti” di una storia, o che i combattimenti dovessero essere “bilanciati”, o altra roba che oggi è data abbastanza per scontata: i combattimenti erano brutali, mentre i personaggi erano spazzatura, non contavano niente, e morivano come mosche. Venti anni più tardi sarebbe partito un movimento di player empowerment che avrebbe riequilibrato il rapporto GM-giocatori, promuovendo l’idea che i personaggi dei giocatori sono eroi/special snowflake/protagonisti di una storia. In certi casi questo riequilibrio si sarebbe spinto fino a strappare il controllo narrativo dalle mani del DM, per conferirlo ai giocatori.

Le avventure del D&D degli anni ’70 seguivano questo modello di gioco. Partivano tutte da premesse simili (i personaggi sono avventurieri alla ricerca di fama e ricchezze/c’è un oggetto o una persona da recuperare/etc), e consistevano in luoghi da esplorare – dungeon o zone selvagge. Il concetto di una storia o una trama era sostanzialmente sconosciuto, e lo sarebbe stato fino alla fine degli anni ’70. Per esempio, la prima avventura vera e propria per D&D, Palace of the Vampire Queen (1976) era un megadungeon. Idem per molte avventure storiche di quegli anni: In Search of the Unknown (1978), Expedition to the Barrier Peaks (pubblicata nel 1980 ma concepita nel 1976), o  The Lost Caverns of Tsojconth (concepita nel 1976 e poi pubblicata, in versione espansa, nel 1982).

L’idea che in una avventura ci potesse essere una trama si è sviluppata gradualmente. Uno dei primi esempi è stato il ciclo di avventure iniziate con la serie G1: Steading of the Hill Giant ChiefG2: Glacial Rift of the Frost Giant Jarl, e G3: Hall of the Fire Giant King (1978), ripubblicate poi come G1-2-3:  Against the GiantsIn questi moduli ancora non c’era una storia: i singoli moduli erano sempre i soliti dungeon da esplorare, lo standard per i moduli dell’epoca; però c’era una sorta di trama di fondo che collegava i tre moduli tra loro e faceva da (esile) filo conduttore. Queste tre avventure furono poi ripubblicate, insieme ad altre, in un unico “supermodulo” (oggi diremmo: adventure path) col nome di GDQ1-7: Queen of the Spiders. Questo supermodulo univa la serie G1-2-3, la serie D (D1 Descent into the Depths of the EarthD2: Shrine of the Kuo-ToaD3 Vault of the Drow) e Q1: Queen of the Demonweb Pits. Questo ciclo di avventure comunque non era niente di rivoluzionario: c’era sì una trama rudimentale che collegava le varie avventure tra loro in modo che la loro successione avesse un senso, ma le avventure in sé erano sempre i soliti dungeon crawl. Notare che questo focus sul dungeon crawl non rendeva automaticamente le avventure brutte o noiose – GDQ1-7 è stata votata nel 2004 come la più bella avventura di D&D mai pubblicata. A breve, questo non sarebbe più stato vero.

Arriva la storia nei GdR

Entrano in scena Tracy e Laura Hickman. Tracy e Laura Hickman sono una coppia di autori (Tracy è un uomo). Tracy Hickman è famoso per aver scritto insieme a Margaret Weis i romanzi di Dragonlance; in più, ha scritto (con o senza Laura) diversi moduli per D&D, tra i quali la celeberrima I6: Ravenloft. I coniugi Hickman hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella storia dei giochi di ruolo: sono gli autori dei moduli originali di Dragonlance, il primo dei quali fu DL1: Dragons of DespairEra il 1984, e da allora niente fu più la stessa cosa.

L’elemento rivoluzionario che i moduli di Dragonlance introdussero, cambiando per sempre il modo in cui i giochi di ruolo erano visti, era in realtà molto semplice, e probabilmente sapete già di che si tratta: i moduli di Dragonlance avevano una storia. Intendo una trama vera e propria, come quella di un libro o un film. Questo elemento oggi non sembra niente di speciale, ma per l’epoca fu una rivoluzione. Immaginate  giocatori di D&D per i quali “avventura” era stato fino a quel momento sinonimo di “dungeon crawl” – e immaginare di dare a questi giocatori un modulo che non riproponeva il solito dungeon, ma una storia emozionante, come quella di un libro. La gente rimase folgorata. I moduli di Dragonlance furono uno dei grossi punti di rottura nella storia di D&D e più in generale dei gdr: introdussero l’idea che ci potesse essere una trama in un gioco di ruolo.

La seconda edizione di AD&D (1989) abbracciò completamente questa nuova prospettiva: le regole erano rimaste molto simili a quelle di AD&D 1e, ma nei manuali c’era una nuova enfasi sulla storia. Ci fu uno stacco molto forte tra le avventure pubblicate nell’era pre-AD&D 2e e quelle del periodo post-AD&D 2e, ricordate per le loro ricche trame, così come per l’imbarazzante railroading che promuovevano (ci torneremo dopo). Badate che questa non è archeologia – questo è un trend che continua tutt’ora.

Sarò onesto: a dire il vero non fu tutta colpa di Dragonlance. C’era comunque aria di cambiamento in quegli anni. Per esempio, qualche anno prima di Dragonlance, nel 1981, fu pubblicato Call of Cthulhu, che contribuì a cambiare il modo in cui i giochi di ruolo erano visti. Non solo adattò il gdr ad un nuovo genere, quello dell’horror, ma fu anche un gioco che cambiava il classico concetto di avventura dall’esplorazione di un dungeon alla risoluzione di un mistero. Tra il 1980 ed il 1982 fu rilasciata la trilogia di Zork, uno dei primi giochi per computer con qualcosa che assomigliasse ad una storia (sebbene abbastanza rudimentale). Nel 1985 venne pubblicato Pendragon, un altro gioco di ruolo piuttosto story-focused per l’epoca. Insomma, le cose stavano cambiando, e probabilmente sarebbero cambiate lo stesso anche senza quei fatidici moduli dei coniugi Hickman. Vorrei anche sottolineare che questo cambiamento non è stato improvviso, come può forse sembrare leggendo questo post; l’introduzione della storia è stata un processo graduale. Il modulo I6: Ravenloft (1983) era sì un enorme dungeon, ma anche lì c’era una specie di storia che faceva da sfondo. Tuttavia, oggi ricordiamo i moduli di Dragonlance come lo spartiacque tra il vecchio modo di concepire il gdr, ed un nuovo modo, in cui la storia era in primo piano.

A questo proposito, ci sono due gruppi di persone che arriveranno ad odiare questo nuovo modo di concepire il gdr, per ragioni opposte. Uno di questi due gruppi lo incontreremo più avanti, tra una quindicina d’anni (siamo sempre a metà degli anni ’80) – ma l’altro possiamo presentarlo adesso. Sto parlando dei fan del D&D delle origini, il D&D dei dungeon crawl senza storia. Questi fan vissero la nuova attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originario di D&D, guardando i moduli di Dragonlance, il focus sulla storia, e le nuove edizioni di D&D con sospetto o aperto disprezzo. Questi giocatori talvolta si autodefiniscono grognard. Alcuni sono vecchi wargamer, mentre altri sono semplicemente giocatori appartenenti alla “vecchia guardia”: giocatori che continuano a ritenere le vecchie edizioni, e lo spirito originario del gioco che le contraddistingue, come l’epoca d’oro di D&D. Sono giocatori che rifiutano l’idea che si giochi di ruolo per raccontare una storia, in contrapposizione ai giocatori “new school”, e che spesso guardano con disprezzo certi elementi del fenomeno del player empowerment.

Negli ultimi anni (soprattutto a partire dal 2008/2009) c’è stato un rinnovato interesse per il modo di giocare della “vecchia guardia”, che si è consolidato in un movimento/scuola di pensiero noto come OSR. L’acronimo è definito in maniera imprecisa, ma la maggior parte delle persone legate all’OSR vi diranno che sta per Old School Revival, oppure Old School Renaissance. In pratica, il termine è oggi utilizzato per indicare un gruppo abbastanza eterogeneo di gdr e la ‘scuola di pensiero’ ad essi collegata, il cui comune denominatore è il rifarsi, sia come regolamenti che come filosofia di gioco, alle vecchie edizioni di D&D. Nell’ambito dell’OSR, i moduli di Dragonlance sono visti come una disgrazia.

Ma insomma, questa “storia” di cui parli… che roba è alla fine?

Questo è un momento buono come un altro per parlare un attimo di questa famosa “storia” che sarebbe entrata a far parte della cultura del gdr a partire dalla metà degli anni ’80. In effetti uno dei problemi nel parlare di questa roba è che “storia” è un termine impreciso, e persone diverse intendono cose diverse.

Certo, certo, è vero – la storia, in senso lato, c’è sempre. È tutto ciò che succede in gioco. In senso lato, anche un dungeon crawl finisce in qualche modo per avere una storia. In un dungeon crawl succedono delle cose, e alla fine è possibile ricostruire una sequenza di eventi coerente. “Siamo scesi al secondo livello del dungeon, abbiamo ammazzato tre goblin, e Bob il Guerriero è stato fritto da una trappola”.

Però in questo post, con storia, intendo qualcosa di più di una sequenza di eventi coerente – intendo una storia appassionante, cioè una storia in grado di appagare dal punto di vista drammatico; una sequenza di eventi in game in grado di essere appassionante e interessante, come le trame che si sviluppano nei libri, nei film o nei fumetti. Una storia di questo tipo solitamente ha una struttura o comunque un arco narrativo: un inizio (un problema, un conflitto, un dramma), uno svolgimento, e una conclusione. Probabilmente ha anche elementi in grado di farti venire voglia di vedere come va a finire (non so – colpi di scena, misteri che vengono svelati pian piano…).

Ora, in un gioco di ruolo tradizionale, ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, e l’altro è improvvisarla. A prescindere dall’approccio che si preferisce, nei giochi tradizionali è tipicamente possibile un gioco di tipo immersivo, in cui il giocatore può vivere una storia in prima persona, esercitando una influenza sullo sviluppo della stessa paragonabile a quella che potrebbe esercitare una persona reale nello sviluppo della propria vita. In pratica, il giocatore ha controllo esclusivamente sulle azioni del proprio personaggio, ma non, ad esempio, sull’ambiente o su i PNG. Dopo vedremo quali sono i gdr “non tradizionali”, il cui approccio è molto diverso.

Avere la storia già scritta

L’approccio “storia appassionante già scritta” è quella che adottano molti moduli pubblicati a partire dall’era di AD&D 2e fino ad oggi (es. molti Adventure Path per Pathfinder). Il processo è più o meno lo stesso, sia che la storia appassionante venga tratta da un’avventura pubblicata, sia che la scriva il DM di sua mano: c’è una serie di eventi che si verificano in successione, in modo più o meno lineare. La storia è appassionante perché gli eventi prestabiliti fanno sì che lo sia.

Esempio banale: un vecchio misterioso si avvicina ai personaggi e chiede loro di recuperare la Spada Infuocata dalla Tomba del Guerriero Misterioso prima che se ne impadronisca Lord Morte, il Necromante Oscuro. I personaggi accettano. I personaggi recuperano la Spada e tornano dal vecchio misterioso. Ma, attenzione! C’è un colpo di scena! Il vecchio misterioso è in realtà Lord Morte sotto mentite spoglie! Dopo un monologo ad effetto, Lord Morte fugge con la Spada. Nella prossima avventura i personaggi dovranno inseguirlo! Zan zan zan!

Questa trama nella sua semplicità è interessante – c’è un colpo di scena. Mi immagino il DM che si sfrega le mani tutto soddisfatto, gongolando al pensiero della faccia che faranno i giocatori quando giocheranno alla sua fantastica storia. C’è però un grosso, grossissimo problema con questo approccio. In un libro, lo scrittore è in grado di produrre una storia interessante perché controlla contemporaneamente protagonisti, antagonisti, personaggi secondari e tutto quello che succedeIn un gdr non funziona così. Non dovrebbe funzionare così. In un gdr, se il DM vuole produrre la storia interessante, ha un grosso ostacolo davanti a sé. Si ritrova a essere uno scrittore con le mani legate, che non controlla i protagonisti della sua storia.

La storia di cui sopra è fragile, come quasi tutte le storie prestabilite a tavolino. Cosa succede se i personaggi decidono di tenersi la Spada Infuocata, o di venderla, invece di riportarla al vecchio misterioso? Cosa succede se uno dei giocatori in qualche modo scopre, per esempio, che il vecchio misterioso ha un allineamento malvagio e si insospettisce? Ve lo dico io: la storia salta. Tutta la bellissima storia concepita dal DM a casa sua, dopo ore di faticosa preparazione, crolla come un castello di carte. C’è un modo di dire nella comunità dei gdr che più o meno recita: “no plan survives first contact with the players“. Allude al fatto che qualunque trama predisposta a tavolino dal DM finirà per crollare rovinosamente una volta arrivata al tavolo, perché i giocatori faranno qualcosa al di fuori dei suoi piani. Il povero DM quindi si trova ad avere un problema. Vuole inserire la sua storia appassionante nella campagna; ma la sua storia, essendo predeterminata, non reggerà mai al tavolo di gioco, a causa dell’imprevedibilità legata alla libertà d’azione dei giocatori. (Notare che questo problema è direttamente o indirettamente la conseguenza di idee che risalgono alla metà-fine degli anni ’80, quando Dragonlance ha messo in testa alla gente l’idea sciagurata che per fare bene il DM uno deve raccontare una storia interessante come quella di un film o un libro.)

Come rispondere a questo problema?

Ci sono diverse reazioni possibili. Alcune di queste reazioni sono sane, altre sono patologiche. Le risposte patologiche più comuni sono barare e railroadare i giocatori.

Il Railroading

Il railroading (da railroads, che letteralmente sono i binari del treno) è un fenomeno che avviene quando un evento del gioco ha un outcome predeterminato – cioè un esito stabilito a priori, a prescindere delle azioni dei giocatori. Il DM annulla la libertà d’azione dei giocatori, forzando quello che succede nel gioco, al fine di far andare le cose come vuole lui.

Che vuol dire in pratica? Diciamo che in gioco si verifica una situazione X. Per esempio:  i personaggi sono nella principale cittadina del regno, e per andare avanti con la storia, devono parlare con il Re che si trova nel palazzo reale. Questa di per sé è una situazione aperta: la storia preparata dal DM prevede che i giocatori parlino col Re, ma i giocatori potrebbero fare potenzialmente qualunque cosa, incluso non parlarci affatto. Il railroading avviene quando il DM ha stabilito come questa situazione andrà a finire, e impone l’esito da lui deciso a prescindere da cosa fanno o non fanno i giocatori.

Giocatore: “No, io con il Re non ci voglio parlare! Esco dalla città e vado a cogliere le margherite nei campi.”

DM: “No, non puoi. Hanno chiuso le porte e non fanno più passare nessuno.”

Qualcuno potrebbe dire “eh vabbé, ma questo DM  è un pivellino! Un bravo DM asseconda il giocatore e trova il modo di farlo parlare lo stesso con il re.” Per esempio:

Giocatore: “No, io con il Re non ci voglio parlare! Esco dalla città e vado a cogliere le margherite nei campi.”

DM: “Ok. Vai fuori dalla città e raccogli 3d6 margherite. Dopo un paio d’ore, vedi il Re che sta uscendo a cavallo dalla città. Appena ti vede si dirige verso di te.”

Ecco: qui c’è un equivoco. Non c’è molta differenza tra il railroading spudorato del primo esempio e il railroading occulto del secondo esempio (talvolta chiamato illusionismo). Non è che quello del secondo esempio è un DM più bravo, o un DM più esperto.

Il DM qui ha solo riaggiustato la sua trama lineare (evento A -> evento B -> evento C) in modo da dare l’impressione che l’avventura non sia sui binari, ma è un cambiamento cosmetico. In realtà è più o meno la stessa cosa: il DM ha deciso che le cose devono andare in un certo modo, e qualunque cosa voglia fare il giocatore, il DM trova il modo di far succedere le cose che voleva. L’unica differenza è che se va tutto bene il giocatore non se ne accorge. E i giocatori si accorgono di questi trucchetti molto più spesso di quanto il DM pensi.

Diciamo che ci sono tre percorsi che conducono dal Luogo A al Luogo B. Se i tre percorsi sono esattamente uguali, ed i personaggi subiscono la stessa imboscata indipendentemente dal percorso preso, con gli stessi mostri, etc. etc… beh, non è molto diverso dalla situazione in cui c’è un solo percorso obbligato. Dai l’illusione della scelta, ma è solo una finzione.

Il railroading (spudorato od occulto) è in genere malvisto perché annulla la libertà d’azione e di scelta dei giocatori, visto che quello che fanno o non fanno non ha più alcuna conseguenza né alcun impatto su quello che succede. Se rimuovi la libertà d’azione togli una delle cose fondamentali che distinguono il gdr da altre forme passive di intrattenimento (cinema, teatro, libri, fumetto, etc): la capacità di influenzare ciò che succede. Il gioco di ruolo diventa un’esperienza passiva, dove il fruitore esperisce una storia predeterminata da altri. A quel punto, tanto vale rimettere i dadi nello zaino e stare a sentire il GM che ti legge un racconto scritto da lui, no?

Tuttavia, se è vero che il railroading è generalmente malvisto, ci sono dei casi in cui può funzionare e può essere desiderabile – cioè quando è funzionale al divertimento del gruppo. In generale, quando si gioca di ruolo la priorità è divertirsi – finché uno si diverte, sta giocando bene. Se uno gioca di ruolo senza divertirsi, fategli i complimenti: è riuscito a scoprire l’unico vero modo per farlo male!

Ecco, alcuni giocatori preferiscono avere una storia da cui farsi guidare. Magari vogliono esperire una storia appassionante predeterminata in modo semi-passivo, senza dover fare troppe scelte. Si aspettano una storia, e fanno del loro meglio per seguirla; quando non la seguono, si aspettano che il DM li rimetta sulla strada. Questo è talvolta chiamato partecipazionismo, nel senso che i giocatori partecipano volontariamente alla storia creata dal DM (anziché subirla). C’è partecipazionismo, se vogliamo usare questo termine, quando i giocatori: a) sono consapevoli che c’è una storia prestabilita da seguire; b) sono d’accordo che ci sia questa storia; c) riconoscono che gestire la storia è responsabilità del DM; e infine d) sono d’accordo che il DM faccia il necessario per far sì che la storia vada avanti.

Questo, se ci pensate, è quello che succede, per esempio, quando i personaggi accettano il lavoro proposto loro dallo straniero misterioso alla locanda. Non c’è alcun motivo sensato per cui delle persone sane di mente debbano accettare un incarico da un tizio mai visto e conosciuto – però in genere i personaggi accettano il lavoro senza tante storie, perché sanno che l’avventura “è da quella parte”.

Ora, questa situazione va bene. La situazione che viene criticata è quando il DM pensa di sapere cos’è meglio per il divertimento del gruppo senza consultarsi prima con i giocatori, per cui decide autonomamente di scrivere la storia predeterminata senza che nessuno glielo abbia chiesto. Se invece i giocatori esprimono il desiderio di avere la storia predeterminata, è un altro paio di maniche. In certi gruppi storici, che giocano insieme da anni e anni, questo consenso può essere implicito: il DM ormai conosce i giocatori e sa cosa li diverte, mentre i giocatori conoscono il DM e sono d’accordo con il suo stile. Tuttavia, a meno che non rientriate in questo caso, è meglio se questi aspetti vengono decisi dall’intero gruppo prima dell’inizio della campagna (“ragazzi, avevo in mente una campagna con una storia ambientata in X che sarà così e cosà, vi va bene?”). [E qui si torna alla Dichiarazione d’Intenti. NdM]

Barare

Barare non ha bisogno di molta discussione: stai barando quando ignori arbitrariamente una regola, o il risultato di un dado, perché non ti piace la situazione a cui quella regola o quel tiro di dado ti porterebbero, e questo avviene in segreto, senza che i giocatori ne siano al corrente. La maggior parte dei DM che barano lo fanno con buone intenzioni: salvare personaggi che morirebbero per tiri sfortunati, non penalizzare serate sfortunate con i dadi, ignorare tiri non utili alla storia o al divertimento, far sì che il combattimento con il boss non finisca in un solo round, e così via. In generale, nella maggior parte dei casi i DM che barano lo fanno per esigenze di storia. Ma questo non vuol dire che sia una buona abitudine.

Il punto è che se hai bisogno di barare per ottenere quello che vuoi da un sistema, c’è qualche problema di fondo – evidentemente vuoi fare qualcosa, ma le regole ti remano contro e portano a risultati che non ti piacciono. E se non ti piace un risultato, perché usare delle regole che ti portano a quel risultato? Le risposte sane a questa situazione sono a) adattare le tue aspettative al sistema; b) modificare il sistema in modo che venga incontro alle tue aspettative (= house rules); c) se il compito precedente è troppo laborioso, al limite cambiare sistema. Barare è una risposta al problema forse più semplice, ma è patologica perché implica ingannare gli altri giocatori (sì, se tiri dei dadi e poi ignori il risultato, li stai ingannando).

Per chi bara, il dado finisce per divenire una cosa cosmetica – tanto se le cose non vanno come avevi pianificato, lo ignori. E se ignori i tiri di dado quando ti fa comodo, non capisco come mai stai tirando dei dadi. “Se faccio >10 col dado accetto il risultato, se faccio meno non è funzionale alla storia per cui facciamo finta di aver fatto >10 lo stesso.” In generale, secondo me non si dovrebbe tirare un dado se non si è pronti ad accettarne il risultato. Fare diversamente mi sembra un comportamento un po’ schizofrenico.

Come il railroading, anche il barare è generalmente malvisto, però ci sono situazioni in cui barare è ok. Più o meno sono le stesse situazioni in cui il railroading è ok: cioè quando i giocatori sono consapevoli che il barare rientra tra le cose che il DM potrebbe fare, e sono d’accordo. In questo caso nessuno viene ingannato, dunque non c’è nessun problema. Questo consenso dovrebbe sempre essere esplicito, con l’eccezione dei gruppi molto rodati che giocano insieme con soddisfazione da parecchi anni, in cui questo consenso può essere implicito.  Di nuovo, ciò che viene generalmente criticato è il DM che si arroga il diritto di decidere per conto suo cosa è meglio per il divertimento del gruppo, perché è un atteggiamento paternalistico. Alcuni giocatori potrebbero non apprezzare l’idea che il DM bari per salvarli o per mandare avanti la storia in una certa direzione (io per esempio mi opporrei a una cosa del genere), quindi hanno il diritto di essere informati se questa è una cosa che può succedere. 

[to be continued...]

lunedì 12 agosto 2024

Le sette fasi stilistiche di D&D


Sempre alla ricerca di dell'uovo di colombo nel GdR, ecco un articolo un po' lungo dal sito gdrmag che però mi ha aiutato a capire come D&D sia cambiato nel corso della sua storia e quindi quale esperienza ciascuna edizione/stile possa offrire (e cosa invece non può, così da evitare la pericolosa combo illusione-delusione). Articolo pre-quinta edizione, a cui si accenna in fondo. 
PS: ho inserito immagini rappresentative di ogni edizione, quella della quinta è la prima.

Oggi come oggi dire Dungeons & Dragons equivale a dire tutto e nulla. Stiamo parlando infatti, non di un semplice gioco, ma di un vero e proprio fenomeno culturale che ha influenzato diversi ambiti della società, da quello dei videogiochi a quello letterario, passando per il cinema.

D&D si è progressivamente staccato dagli stereotipi fantasy delle origini, per dar vita nel tempo ad uno stereotipo fondato su se stesso: D&D è autoreferenziale, un mondo parallelo con una sua logica interna fatta di monaci orientali che vanno a braccetto con paladini delle ballate medievali, elfi tolkeniani, barbari howardiani e guerrieri che impugnano spade senzienti moorcockiane, che combattono insieme contro Smaug, Belzebù e persino Cthulhu.

Se ci limitiamo a parlare del gioco di ruolo vero e proprio però, tralasciando l’universo immaginario di riferimento, ci rendiamo ben presto conto del fatto che ciascun giocatore ha la sua idea di cosa sia D&D: se interpellate qualcuno che ha iniziato con la scatola rossa negli anni ’80, sicuramente vi riferirà di concetti ed esperienze di gioco completamente diverse da quelle di chi, per dire, si è fatto le ossa con la seconda edizione di AD&D negli anni ’90.

Questo perché Dungeons & Dragons ha una storia lunga, lunghissima. Ha attraversato diverse fasi (o epoche, se vogliamo) della storia dell’hobby e ogni volta ha cambiato pelle, cercando di adeguarsi a quello che era lo spirito del tempo. Proprio per questo motivo siamo passati dai claustrofobici dungeon di matrice gygaxiana e dai mash-up fantasy-fantascienza arnesoniani delle origini al narrativismo spinto di David Zeb Cook, per poi abbracciare il lato tattico-regolistico con l’altro Cook (Monte) e infine tornare un pò alle origini con l’attuale Quinta Edizione.

Da quanto detto finora si comprende il motivo per cui non si ha ancora una definizione certa di cosa sia D&D. Tuttavia, riflessioni come quella di Armchair Gamer su rpg.net, che mi accingo qui a tradurre in italiano (in maniera libera e parziale, arricchendola con le mie osservazioni) possono aiutare chi è interessato per davvero alla questione a prendere possesso di una visione d’insieme, ovvero dell’intero corso evolutivo di Dungeons & Dragons.

Armchair Gamer distingue quindi sette stili (flavors) di gioco associabili a Dungeons & Dragons, collocandoli temporalmente (ecco perchè ho usato l’aggettivo “storici”) e includendo gli elementi che li contraddistinguono. Lo scopo di questa riflessione non è affatto quella di creare una “teoria” su cui giurare con la mano sinistra, né quella di mettere a confronto i vari stili per decretare quale sia il migliore.

L’obiettivo, a detta dell’autore stesso, è invece quello di andare oltre la falsa dicotomia “new school vs. old school” che è superficiale, e di classificare invece le varie incarnazioni di D&D secondo lo stile di gioco ad esse associate: ciascuna “fase” indica infatti diverse priorità e un modo diverso di approcciare il gioco stesso.

Premessa

Questo articolo non può e non vuole essere una ricostruzione fedele al 100% della storia di Dungeons & Dragons. Le date sono indicative e servono soltanto a dare al lettore un’idea di come collocare cronologicamente le varie “fasi” dell’evoluzione del gioco e gli stili che l’hanno contraddistinto; ma si tratta di approssimazioni. Chi cerca una disamina filologicamente corretta della storia dell’hobby invece, farebbe meglio a rivolgersi a testi quali Playing at The World di Jon Peterson.

Gli stili poi si sovrappongono cronologicamente, perché in ciascuna fase potevano convivere diversi stili (e anche perché ogni versione di D&D può supportare più di uno stile).

Knaves & Kobolds (1972-77, 2005+): il Dungeons & Dragons originario

Sistemi di riferimento: OD&D (1974), Holmes D&D (1977), B/X (1981), retrocloni vari (2005+)

Moduli di riferimento: La Rocca sulle Terre di Confine, Caverns of Thracia, Moduli Judges Guild

Possiamo tradurlo in “Canaglie e Coboldi”, laddove le Canaglie sono i Personaggi ovviamente. Si tratta dello stile nativo di D&D, quello originario del 1974, ripreso poi dal movimento Old School negli anni 2000. Siamo all’alba del gioco di ruolo e l’hobby non è ancora consapevole delle proprie potenzialità: i dungeon non hanno molta logica e nessuno si preoccupa troppo di come funziona davvero una data trappola o di cosa si nutrono i mostri. Tutto ruota attorno alla meraviglia verso questo nuovo modo di giocare: il divertimento è nell’esperienza di gioco stessa, non nell’interpretazione del ruolo o nella costruzione del Personaggio migliore (come testimonia Greg Svenson nell’intervista rilasciata a GDR Magazine).

A livello di gioco, questo stile primordiale è caratterizzato da un’elevata mortalità dei Personaggi (elevata se paragonata a quella dei D&D odierni, naturalmente) e dall’importanza rivestita dai tesori, quale unico fattore di avanzamento.

Questi due elementi portano con sé diverse conseguenze, come il minore attaccamento dei Giocatori ai loro Personaggi (se possono morire all’improvviso, perché dotarli di background chilometrici?), la semplicità del processo di creazione del Personaggio stesso (la mortalità è frequente quindi devo poter creare un nuovo Personaggio velocemente), la moralità dubbia (ecco perchè Canaglie: se per avanzare ci vuole la pecunia allora tutto è lecito purchè io possa ottenere tesoro, diventare più forte e morire meno facilmente) e la “scala” di potenza degli avversari molto contenuta (se i Personaggi sono fragili di per sé, non c’è bisogno di Demoni e Draghi per metterli in difficoltà ma sono sufficienti una manciata di Coboldi, che danno il nome allo stile).

L’arricchimento eccessivo dei Personaggi porta inoltre gli autori ad escogitare sistemi per far si che questa montagna di denaro inerte possa essere investita in qualcosa di utile e durevole, per portare il gioco ad un nuovo livello, quello “politico”: stiamo parlando degli end-game, ovvero castelli e fortezze (di cui parleremo meglio quando affronteremo lo stile Castles & Cronies).

Tutto ciò porterebbe ad altre considerazioni che evito di fare per non allungare ulteriormente il brodo. Aggiungo soltanto che l’equazione “tesori = avanzamento” nello stile K&K può trarre in inganno, perchè il tesoro non è altro che uno stimolo all’esplorazione del mondo fittizio, giacché le monete d’oro non crescono nel giardino di casa.

Dungeoncrawling & Demons (1977-86, 2000+): D&D diventa Advanced

Sistemi di Riferimento: AD&D (1979), D&D 3.X (2000+)

Moduli di Riferimento: Temple of Elemental Evil (1985), Dungeoneer’s Survival Guide (1986)

Questa è l’epoca del D&D Gygaxiano, in cui il gioco di ruolo si coerentizza in sistemi elaborati, corposi e orientati più alla tattica e al combattimento che all’esplorazione del mondo fittizio.

I dungeon, specie quelli definiti come Megadungeon, la fanno da padroni: con la pubblicazione dei tre manuali base di Advanced Dungeons & Dragons, Gary non fa più mistero della sua predilezione per le avventure ambientate in interminabili complessi sotterranei ricchi di trappole e mostri, tanto da implicare in esse persino un’ecologia del dungeon (il cosiddetto Naturalismo Gygaxiano), una logica interna in contrasto con l’ironia e l’illogicità dei dungeon dello stile precedente (come Caverns of Thracia).

E’ l’epoca della supplementite acuta: Gygax passa dal celebre motto “Ai DM non dobbiamo far sapere che possono giocare di ruolo anche senza regole” (tipico dello stile precedente) alla pubblicazione di AD&D (la coerentizzazione ufficiale della non-struttura del D&D originario) e soprattutto di Unearthed Arcana, il primo vero supplemento ad inaugurare la moda del “più roba c’è, meglio è”, anche a costo di stravolgere lo spirito originario del gioco (cosa di cui il buon Gary si pentirà pubblicamente in tarda età).

I gdr, in pratica, diventano una roba seria. Non più l’avventura a cuor leggero dello stile precedente dove nei dungeon ci si poteva imbattere in fast food tipo McDonald’s (Mike Mornard); non più manualetti di poco più di 50 pagine, con regole appena accennate e tutto il resto nelle mani del DM. Ora si fa sul serio, come sembra volerci ammonire la copertina di AD&D: ora Dungeons & Dragons è Advanced.

Questo si traduce, ad esempio, in un sistema di combattimento di gran lunga più elaborato e tendente al simulazionismo. Ma anche negli altri comparti si respira lo stesso spirito: compaiono regole precise su come reclutare mercenari e creare veleni; ma soprattutto, ci sono miriadi di tabelle per gli usi più svariati, dai classici incontri casuali alla creazione di PNG, dalla descrizione di malattie infettive alla tabella delle prostitute cui è possibile imbattersi in città. Nel Manuale del DM, Gary inizia anche a parlare di elementi realistici nelle ambientazioni (Milieu) come sistemi di governo ed economia.

A livello di gioco lo stile Dungeoncrawling & Demons rispecchia l’esasperazione verso il simulazionismo in voga allora, con i Giocatori intenti a pianificare attentamente le loro incursioni e la strategia da adottare nei combattimenti, una maggiore attenzione ai vari elementi che costituiscono il Personaggio (ad esempio alle conseguenze che la scelta di una data Razza o Classe, o combinazione di esse, può comportare a livello di gioco), per via di una maggiore consapevolezza da parte loro dell’impatto delle regole sull’esperienza di gioco assente nello stile precedente, imperniato invece sulla semplice esplorazione.

Ricordiamoci inoltre che nel 1978 esce Runequest, che per molto tempo rappresenterà l’unica alternativa a D&D per chi cerca un fantasy più realistico; nel ’77 invece era uscito Traveller, forse il primo gdr ad inaugurare il genere simulazionista per via del tono impersonale con cui venivano illustrate le regole, l’utilizzo di termini scientifici e l’attenzione (inusuale all’epoca) posta sulla verosimiglianza di procedure e sistemi. Tutto ciò avrà sicuramente influenzato il D&D di questo periodo.

Questo è anche lo stile cui idealmente si rifà il primo D&D non TSR, ovvero la versione 3.x della Wizards of The Coast (che poi si evolverà nello stile Simulations & Spellcasters). Vi ritroviamo infatti tutti gli elementi già citati prima: supplementite acuta, attenzione rivolta alla creazione del Personaggio e al combattimento, simulazionismo. Monte Cook stesso ha ammesso placidamente di essere un fan dell’AD&D Prima Edizione e di Rolemaster, per il quale aveva anche scritto alcuni supplementi: basta dare un’occhiata al sistema di abilità del suo D&D per averne conferma. 

Gamma Rays & Godslayers (1974-80+): il fantasy incontra lo sci-fi

Sistemi di Riferimento: AD&D + Unearthed Arcana (1986), BECMI (1983)

Moduli di Riferimento: Blackmoor (Temple of The Frog), Arduin Grimoire, Deities & Demigods, Gamma World

Dungeons & Dragons cresce in popolarità e prende coscienza del proprio potenziale: non ci si accontenta più quindi di dungeons, castelli e atmosfere medievaleggianti, ma si passa alla commistione di generi differenti. I Personaggi poi, specie con l’avvento di Unearthed Arcana, divengono di gran lunga più potenti e in grado di affrontare persino gli Dèi. Si iniziano a sperimentare combinazioni Razza-Classe fino ad allora impensabili, grazie al via libera di Gygax nell’UA. Tutto è possibile, sembra essere il motto di questo stile.

Non per nulla in quegli anni la TSR pubblica la prima edizione di Gamma World, il primo gioco di ruolo postnucleare, con un regolamento differente ma pur sempre compatibile con quello del suo prodotto di punta, mentre nell’82 pubblicherà Star Frontiers, fantascienza “canonica”; non dimentichiamoci poi che nel 1977 era nato il primo gdr di fantascienza in assoluto, Traveller, che abbiamo affrontato brevemente nel paragrafo precedente.

A livello di gioco nello stile Gamma Rays & Godslayers si è più inclini ad accettare qualsiasi elemento che possa portare una ventata di freschezza nell’aria viziata dell’ormai stantìo dungeon. Tutto va bene, purché sia “cool”. Il realismo tanto in voga nello stile precedente viene accantonato e anche i Personaggi sviluppano poteri fuori dalla norma, per affrontare ostacoli di gran lunga più minacciosi rispetto a quelli degli stili precedenti, fino a diventare divinità essi stessi (vedi BECMI, dove i Personaggi possono raggiungere il 36esimo Livello e persino ottenere il rango di Immortali).

Castles & Cronies (1985+ ?): il manager fantasy

Sistemi di Riferimento: BECMI (1983), AD&D 2E (1989)

Moduli di riferimento: Birthright (1995)

Su questo stile mi soffermerò poco perché è in pratica una ovvia conseguenza di Knaves & Kobolds, ma soprattutto dei due stili successivi. Deriva dall’eccesso di ricchezza accumulato dai Personaggi a causa della generosità di alcuni moduli di avventura, compresi oggetti magici e seguaci.

A questo livello, che cronologicamente corrisponde grosso modo agli ultimi anni della TSR, i Personaggi si trasformano in manager impegnati a gestire tutte le risorse (monetarie, umane e magiche) accumulate fino a quel momento. La scala da individuale diventa politica e l’avventura perde il suo ruolo chiave. Se di avventura si tratta, lo scopo è sempre quello di salvare il proprio dominio da minacce esterne.

Paladins & Princesses (1983-98): la Storia prima di tutto!

Sistemi di Riferimento: AD&D 2E (1989), D&D 4E (2008)

Moduli di Riferimento: Dragonlance e avventure correlate (1984+), Ravenloft (1983), Pathfinder Adventure Paths (2007+)

Questo stile, per molti veterani di Dungeons & Dragons, segna l’inizio della fine. Gygax viene cacciato dalla TSR nel 1985 e successivamente David “Zeb” Cook viene incaricato di sfornare una nuova edizione di AD&D, la seconda per l’appunto, nell’ottica di tagliare definitivamente i ponti col Buon Colonnello.

Nel frattempo in casa TSR era entrato il nuovo acquisto Tracy Hickman autore dei moduli Pharaoh (1980) e Ravenloft (1983), una delle avventure più popolari di Dungeons & Dragons; Tracy è anche l’autore (assieme a Margaret Weis) della popolare saga fantasy Dragonlance (1984), evento questo, che dobbiamo tenere in considerazione per capire quanto segue.

Anche senza scomodare la serie di avventure ispirata a Dragonlance “Dragons of Despair” comunque, in cui lo stile Paladins & Princesses emerge chiaramente, i due moduli citati sopra contenevano già in nuce un concetto che diverrà poi un paradigma non solo della linea D&D (e che ritroveremo in versione ufficiosa in AD&D 2E) ma anche delle altre produzioni di giochi di ruolo del periodo: quello che viene definito Railroading. Questo stile può essere descritto brevemente come la priorità data alla storia rispetto a tutto il resto.

Questa concezione, che poi sfocerà nel narrativismo della middle school  (il cui massimo esponente sarà Vampiri) prevedeva una scaletta di eventi prefissata cui i Giocatori non potevano sottrarsi in alcun modo. I Personaggi non erano più Canaglie (Knaves & Kobolds), Esploratori (Dungeoncrawlers & Demons) o Uccisori di Dèi (Gamma Rays & Godslayers) ma Eroi romantici, impegnati non più nel saccheggio di sotterranei abbandonati, ma in saghe epiche dal lieto fine.

I Personaggi quindi non sono più il mezzo tramite il quale il Giocatore fa esperienza del mondo di gioco, ma protagonisti di una storia “a tappe forzate”. L’elemento casuale viene visto come negativo, tanto più che nell’AD&D 2E (come già nel BECMI) ci viene esplicitamente detto che non solo è lecito, ma anche necessario modificare i risultati dei dadi per salvare la pelle ai Personaggi.

La mortalità, da fattore integrante del gioco e stimolo a migliorarsi (superare gli ostacoli facendo affidamento sull’intelligenza del Giocatore anziché sui valori numerici del Personaggio) diviene uno strumento punitivo da evitarsi ad ogni costo. Gli Eroi infatti, in quanto tali, non possono morire e se proprio devono, che se ne vadano in gloria o in momenti drammaticamente appropriati e non a causa del capriccio dei dadi !

Tutto ciò, unito anche alle proteste dei benpensanti di allora, porta Dungeons & Dragons ad abbracciare il politicamente corretto. Se i Personaggi sono Eroi, difatti, essi debbono combattere il male e devono anche essere moralmente irreprensibili: in D&D non c’è più posto quindi per Demoni (che vengono pudicamente ribattezzati Baate’Zu e Tanar’Ri), poppute sirene e Assassini. Così come la morte ingiusta e non attinente alla “Storia”, anche le tematiche “adulte” vengono bandite dal gioco.

Nel frattempo il Railroading prospera anche nel resto dell’universo gdr. Una delle più amate e popolari campagne per Warhammer Fantasy Roleplay, ovvero The Enemy Within (1986) è un perfetto esempio di narrativismo (nonostante i Personaggi non facciano la parte degli Eroi, sono tuttavia obbligati a seguire una serie di eventi messi in moto da un caso di “scambio di persona” che sta alla base di tutta l’avventura); nel 1991 poi, come già accennato sopra, esce la prima edizione di Vampiri, un gioco di ruolo che rappresenta l’apoteosi del narrativismo e l’antitesi di Dungeons & Dragons.

Nel ’95 infine, complice una gestione fallimentare da parte del nuovo Boss Lorraine Williams (ma anche per via dell’esplosione di un nuovo fenomeno, Magic The Gathering) la TSR fallisce e viene acquisita dalla Wizards of The Coast, che traghetta D&D nel nuovo millennio.

Simulations & Spellcasters (2002+): il D&D del 2000


Sistemi di Riferimento:
D&D 3.5 (2002+), Pathfinder (2009+)

Moduli di Riferimento: n/a

Si tratta del diretto discendente dello stile Dungeoncrawlers and Demons del quale rappresenta infatti una naturale evoluzione. Con l’avvento del Dungeons & Dragons 3.5 nel 2002 infatti, gli elementi già presenti nello stile summenzionato (simulazionismo e sovraccarico da supplementi) si metastatizzano e divengono il perno attorno a cui ruota il gioco.

La conoscenza approfondita del sistema diventa il requisito fondamentale, come dirà Monte Cook stesso; i Giocatori sono incentivati a creare il Personaggio perfetto tramite la sapiente combinazione degli elementi costituitivi dello stesso, nella fattispecie Razza-Classe-Talenti-Capacità. 

“Ottimizzazione“, “Build“, “Gestalt” sono le parole d’ordine di questo stile, che non perdona affatto chi non ha voglia di studiarsi quintali di pagine di manuali e supplementi alla ricerca dei mattoncini adatti con i quali costruire il proprio alter ego programmandone in anticipo l’avanzamento dal Livello 1 al 20 ed oltre. Il gioco stesso sembra voler dire: studia le regole e vincerai D&D! Se non le studi sarai condannato a giocare un Personaggio inutile e poco divertente.

I Personaggi inoltre abbandonano gli Archetipi rigidi (Guerriero, Ladro, Mago, ecc.) che avevano contraddistinto Dungeons & Dragons fin dagli albori, per abbracciare una forma più fluida (tipica del 21esimo secolo), risultante appunto dalla combinazione (Gestalt) di molteplici Archetipi. Il Personaggio diventa quindi qualcosa di elastico e mutevole, vista anche la libertà con cui è possibile cambiare Classe rispetto ai vecchi D&D.

A livello di gioco puro vale quanto già detto a proposito dello stile Dungeoncrawlers & Demons con alcuni interessanti sviluppi, il più rilevante dei quali è il percepito predominio degli incantatori rispetto ai combattenti. Dico “percepito” perché nei forum prosperavano analisi più o meno amatoriali, più o meno accurate del fenomeno, che in sostanza però si basavano piuttosto su una lettura pedantesca delle regole anziché sull’esperienza di gioco reale.

Molti infatti accusavano gli “allarmisti” di cercare il pelo nell’uovo, visto che per ottenere i suddetti “uberPersonaggi” era necessaria prima di tutto una conoscenza enciclopedica dei manuali e dei supplementi; secondo poi, non tutti i DM accettavano tutti i supplementi al tavolo da gioco (ma i teorici del predominio degli incantatori la ritenevano una pratica scorretta); in terza analisi infine, le capacità dell’uberPersonaggio erano comunque subordinate al contesto e al tipo di situazione che di volta in volta si verificava in gioco.

Ma quando veniva fatto notare agli allarmisti che essi non stavano prendendo in considerazione tutti i fattori (situazione, contesto di gioco, inclinazione del Master e via dicendo) ma soltanto razionalizzando in maniera astratta ed esasperando alcune “falle” nel regolamento (del tutto invisibili tra l’altro ai non min-maxers), questi rispondevano che “il gioco deve funzionare a livello di regole prima di prendere in esame gli altri fattori”, il che equivaleva a dire che elementi quali inclinazioni ed esperienza dei giocatori, tipo di avventura giocata, background del Master e situazioni contingenti “in game” non avevano alcuna rilevanza nei giochi di ruolo.

Questa concezione totalmente astratta a mio modo di vedere è l’espressione più perfetta del servilismo nei riguardi della regola scritta (Rules as Written) che questo stile di gioco implicava: le regole non erano più uno strumento per interfacciarsi col mondo fittizio, piuttosto erano i Giocatori stessi ad essere diventati schiavi del regolamento, che fagocitava tutti gli altri aspetti dell’hobby. Il regolamento da “mezzo” era divenuto “fine”.

Warlords & Warlocks (2008+): bilanciamento a tutti i costi!

Sistemi di riferimento: D&D 4E (2008+)

Moduli di Riferimento: n/a

Sorto come reazione alle critiche di cui parlavamo sopra, questo stile è uno dei pochi che fa storia a sé, essendo associabile esclusivamente alla quarta edizione di Dungeons & Dragons. Armchair Gamer dice che in questa fase i Personaggi sono quasi sempre “non convenzionali” rispetto ai canoni del fantasy classico, ovvero appartenenti a Razze e Classi che non rispecchiano l’umanocentrismo del D&D tradizionale (in questo caso aggiungerei che è un’evoluzione del multiclassismo Gestalt della 3.5, il cui scopo implicito era quello di costruire Personaggi anti-convenzionali).

Lo stile di gioco è un amalgama di Paladins & Princesses e Dungeoncrawlers & Demons, più orientato all’azione del secondo ma anche più “dark” rispetto al primo, improntato sull’azione e la tattica. Si focalizza infatti su una serie di incontri o scene prestabilite, ciascuno dei quali presenta minacce risolvibili con un’accorta strategia basata sull’utilizzo e gestione dei Poteri associati alle varie Classi.

Difatti per ovviare al problema percepito del predominio degli Incantatori che affliggeva il D&D precedente (che sostanzialmente monopolizzava le discussioni sui forum di gdr di allora), gli autori della Quarta Edizione avevano pensato di decostruire ciascuna Classe riducendola ai minimi termini (Poteri), la qual Classe così diventava semplicemente una somma di capacità costruite secondo una logica comune. Persino gli Incantesimi erano considerati Poteri e seguivano le stesse regole di tutti gli altri, con l’ovvio effetto collaterale di rendere le Classi tutte (apparentemente) simili tra loro.

Credo sia questo uno dei principali motivi dietro alla critica, piuttosto comune all’epoca, che accusava il Dungeons & Dragons della Quarta Edizione di non essere davvero D&D e di ispirarsi un po’ troppo ai MMORPG e ai Boardgames (medium in cui l’elemento tattico e di costruzione del Personaggio hanno la priorità sul resto).

Questo, complice anche la volontà da parte della WOTC di riaccogliere tra le sue braccia molti fan di vecchia data (che nel frattempo erano migrati verso il D&D 3.x redivivus Pathfinder ma anche verso i retrocloni del movimento Old School) portò all’avvento di Dungeons & Dragons Quinta Edizione che, almeno negli intenti, doveva rappresentare l’edizione del gioco che avrebbe accontentato tutti; e quindi, secondo la nostra analisi, l’edizione che avrebbe supportato tutti gli stili di gioco che abbiamo visto finora. Una sorta di “D&D dei D&D”.

lunedì 5 agosto 2024

OSE e l'attesissimo Dolmenwood


da un articolo su dragonslair

Garvin Norman ha fondato la Necrotic Gnome per produrre regole, avventure e ambientazioni per D&D Basic/Expert. Ha iniziato a giocare a D&D da bambino negli anni '80 ed è tornato a giocare da adulto con D&D 4E e Pathfinder. Dato che D&D Basic non ha regole per ogni cosa, richiede delle discussioni tra i giocatori e il DM, cosa che Gavin apprezza. Invece di tirare per cercare le trappole, i giocatori descrivono cosa e dove stiano cercando, un altro aspetto che gradisce. Ha quindi deciso che vuole tornare a giocare con un sistema più semplice e più "aperto".

Anche se Gavin usa le regole basilari di Basic D&D così come sono scritte, adora creare classi, oggetti magici, incantesimi e mostri. Il suo primo lavoro pubblicato, il The Complete Vivimancer, è una classe che modifica i corpi per i propri fini. La sua passione per la creazione lo ha portato al suo primo Kickstarter, dove offre le regole di Basic/Expert non solo come un manuale rilegato, ma anche in cinque volumi separati. Mano a mano che la Necrotic Gnome pubblicherà altro materiale, le classi potranno essere scambiate con quelle vecchie o mischiate insieme. Le altre regole possono essere tranquillamente tolte od aggiunte. La modularità degli Old-School Essentials è fondamentale per il suo continuo sviluppo.

Gli Old-School Essentials, sviluppati e discussi con impegno nel blog della Necrotic Gnome, sono stati creati partendo dai B/X Essentials, una diretta riproduzione delle regole originali del 1981. Old-School Essentials include varie coppie di pagine con regole correlate, così che il manuale possa essere aperto e messo sul tavolo dando al DM tutto ciò di cui avrà bisogno.

Altri nuovi manuali sono già in fase di sviluppo, con classi e incantesimi da Advanced D&D 1E che stanno venendo convertiti agli Old-School Essentials e altre regole in cantiere. Inoltre, Gavin ha creato un'ambientazione chiamata Dolmenwood in una serie di riviste.

Un'eccitante novità è che Dolmenwood verrà rilasciata sia per gli Old-School Essentials che per D&D 5E. Il suo secondo Kickstarter riguarderà un manuale sull'ambientazione, con dettagli sulla storia e sul background e con 184 "esagoni" descritti (probabilmente espansi in un secondo libro). Un manuale del giocatore e uno dei mostri verranno pubblicati di lì a breve. Dolmenwood può anche essere inserita come luogo in un'ambientazione già esistente.

Un mondo composto da varie fiabe frammentate e mescolate, Dolmenwood unisce il raccapricciante, il bizzarro e lo psichedelico in una sorta di pozione stregata che viene rovesciata su una foresta piena di miti. Questo strano bosco arcano è la casa di signori ultraterreni degli elfi, di animali parlanti e di streghe volanti dotate di magie in grado di catturare i viandanti innocenti che passano nella foresta.

Dolmenwood è stata descritta solo in delle riviste ed avventure fino ad ora, ma il futuro manuale riceverà il "trattamento deluxe". Gavin si è posto come obiettivo di avere delle illustrazioni a colori per ogni mostro che sarà presentato nell'eventuale bestiario.

Ha anche pianificato di sviluppare parallelamente le nuove regole per gli Old-School Essentials mentre lavora su Dolmenwood. Sta lavorando a delle regole post-apocalittiche, su mostri avanzati e tesori, su delle avventure e si sta mettendo d'accordo con i produttori di terze parti per il loro sviluppo. 

Gavin ha detto che tutte le edizioni di D&D hanno il loro fascino, i loro pro e le loro particolarità. Vale la pena provarle tutte, facendo tesoro delle differenti esperienze che possono offrire all'interno del mondo dei giochi di ruolo fantasy. E spera che i giocatori delle nuove edizioni di D&D provino le atmosfere delle origini con gli Old-School Essentials.

Gavin consiglia questo prodotto proprio ai giocatori di D&D 5E e Pathfinder, per capire come fosse giocare con le prime edizioni del gioco, pur mantenendo un aspetto moderno e un lavoro attento di editing. Ha un forte rispetto per le nuove edizioni di D&D, ma non per questo ignora quelle più vecchie. Vuole incoraggiare i giocatori a provare uno stile più rilassato e a parlare e disquisire con i propri DM, mentre il mondo viene esplorato con l'improvvisazione e le descrizioni.