di Luccio (e Luna) | Il virus era l’inizio, poi venne
D&D – cronache di ludoteca
“Siediti, straniero. Benvenuto nel mio rifugio.”
Entrano nell’ordine: una pancia, il proprietario della
pancia, uno straniero e quattro foglie secche.
L’uomo venuto da lontano si abbassa il cappuccio e avvicina
una sedia al fuoco. Vecchie carte comuni di Pokémon scoppiettano nel camino
ricavato da un cassonetto svuotato, dando vita occasionalmente a dei guizzi
iridescenti quando le fiamme attecchiscono su una foil. Accanto al fuoco, due
paia di guanti a mezze dita si asciugano dall’umidità delle strade di Neo
Padania.
“Grazie Luccio” ribatte lo straniero “ma non serve che ruoli
la parte dell’oste anche con me”.
“Sai che mi diverto a farlo, Brando”, gli rispondo. “Com’è
andato il viaggio?”
“Mi fanno male le gambe. Andare a cavallo non è come guidare
una macchina.”
Era da anni che non vedevo Brando. Da quando andò a vivere
in Canada, ci sentimmo per messaggio ogni tanto, ma non passò mai a trovarmi, e
io non passai a trovare lui. Ironicamente, solo ora che internet è stato
definitivamente spento e viaggiare è diventato un’impresa per pochi coraggiosi,
ci siamo incontrati di nuovo. Brando si era fatto crescere una bella barba, ma
per il resto non sembrava cambiato.
“Qui puoi riposarti quanto vuoi, siamo in un rifugio libero.
Questo pomeriggio facciamo partire un draft di Magic, ti va di fare l’ottavo?”
“Ti ringrazio, ma se hai ancora quel divanetto leopardato
orribile che c’era prima dell’apocalisse, penso che passerò il pomeriggio lì”
“Ovvio che ho tenuto il divanetto, mica potevo buttarlo via.
Vuoi del liquore alla coca cola? L’abbiamo imbottigliato questa settimana”
“Gradisco, grazie.”
Prendo una bottiglia da sotto il bancone e verso due
bicchierini di liquido scuro. Gradiamo.
Brando ci pensa un po’ prima di farmi un discorso che
evidentemente si stava tenendo dentro da quando è entrato.
“Una volta questo posto era un negozio rispettabile,
battevamo scontrini a testa bassa e non guardavamo in faccia nessuno, mentre
adesso è diventato una casa di accoglienza. Da quand’è che hai smesso di essere
uno schifoso misantropo?”
Sì, Brando è rimasto esattamente uguale.
“Mai smesso”, gli rispondo. “Non ho sentito una grande
differenza tra prima e dopo l’apocalisse. L’Ultimo Turno è nato come un rifugio
per nerd in fuga dai loro casini quotidiani. Ora è un rifugio per nerd
sopravvissuti al cataclisma. Faccio esattamente le stesse cose di prima, solo
per uno scopo diverso, tant’è che il registratore di cassa l’ho dismesso da
quando il denaro è stato dichiarato fuori corso. Non credevo che la vita senza
fatturare potesse essere così interessante.”
Mentre parlo, Brando continua a guardarsi intorno. L’Ultimo
Turno dev’essere stato molto diverso ai suoi occhi rispetto a come se lo
ricordava. Accanto a quattro persone che giocano a Carcassonne c’è un tizio
barbuto intento a preparare della zuppa in un gigantesco pentolone, emanando un
potentissimo odore di aglio e cipolla. Lungo la sala corrono in ordine sparso
fili con panni da asciugare appesi. Il negozio è sempre stato un luogo
piuttosto frequentato, ma negli ultimi tempi ha acquistato una vivacità mai
vista prima.
“Sono stato via troppi anni”, confessa Brando. “Su in Canada
abbiamo solo visto l’internet spegnersi per sempre, la luce saltare, poi una
forte scossa di terremoto, ma nessuno ha mai saputo cosa fosse successo
davvero. Tu che eri qui quand’è iniziata la fine del mondo, cosa hai visto?”
Sorseggio un po’ di liquore per tempi difficili, mi metto
comodo sulla mia sedia ed assumo il tono da “ti racconto una storia per
venderti una scatola”. Certe abitudini fanno fatica a morire.
“Tutto è iniziato con una banalissima influenza di cui
nessuno si ricorda più. La gente cominciò ad agitarsi dal momento in cui fu
istituito il coprifuoco per circoscrivere il contagio: niente attività sociali
dopo il tramonto, palestre deserte, bar chiusi, concerti annullati, fiere
rinviate a data da destinarsi, centri commerciali convertiti a magazzini, musei
e biblioteche sorvegliati dai militari. Praticamente eri obbligato per legge ad
avere un sacco di tempo libero, ma a casa tua. Non ho mai venduto così tanti
manuali di giochi di ruolo come in quel periodo.”
“Ero certo che non fosse stata colpa di un’epidemia. Avevo
sentito voci di…”
“Abbi pazienza, ci arrivo. Conosci la teoria della scimmia e
l’Amleto? Se lasci una scimmia per un tempo indefinito a battere tasti a caso
su una macchina da scrivere, prima o poi ne metterà in fila una quantità
sufficiente per comporre l’Amleto. Ecco, ora prova a pensare che le scimmie non
siano una, ma milioni. Indovinare a caso l’intera bibliografia di Shakespeare
diventa improvvisamente molto più facile, vero? E se invece di scrivere un
libro dovessimo trovare la formula per aprire un portale verso dimensioni
ignote popolate da mostri millenari, quanto tempo ci potrebbe impiegare
l’umanità, calcolando che praticamente chiunque in quei giorni stava giocando a
casa propria a Dungeons & Dragons recitando formule in lingue inventate,
invocando creature dai nomi di fantasia?”
“Mi stai dicendo che la causa della fine del mondo… è stata
Cthulhu?”
“Certo che no, so riconoscere Cthulhu quando lo vedo!
Dev’essere stato un grande antico di seconda scelta, quelli che appaiono forse
come miniboss a metà campagna. Non aveva nemmeno i tentacoli.”
“Ma le scimmie… volevo dire, i giocatori di ruolo… sei
sicuro che siano stati davvero loro?”
“E’ solo una mia teoria, non posso saperlo per certo. Si
dice che il grande antico sia sorto dalle profondità della terra tra Udine e
Martignacco, evocato da un gruppo di inconsapevoli cultisti che giocavano
un’avventura homemade. Non fecero in tempo a dire “fhtagn” che furono divorati,
ed il loro padrone deve averli trovati talmente gustosi da continuare a vagare
per l’Europa in cerca di umani da sgranocchiare, lasciando dietro di sé una
scia di morte e distruzione talmente epica che avremmo pagato il biglietto per
guardarla, se non fosse stato gratis e sotto casa nostra. Ci vollero giusto un
paio di settimane prima che si stufasse e tornasse da solo a dormire nel
sottosuolo per chissà quanti eoni, probabilmente annoiato dall’umanità. Se ha
deciso così, un po’ lo capisco.”
“No, seriamente, sei davvero convinto che il mondo sia
finito per colpa di un grande antico evocato a caso?”
“Macché, il problema non è stato tanto un gigantesco orrore
cosmico a piede libero per qualche giorno, quanto la rivelazione dell’esistenza
dei grandi antichi, che ha fomentato una quantità inimmaginabile di scappati di
casa a rubare un accappatoio dal Decathlon e mettersi a professare riti in
lingue che nemmeno capivano, seminando il panico per le strade.
Alla fine, di umanità da queste parti ne è rimasta
pochissima, e quella poca non brilla per lucidità mentale.”
Brando continua ad ascoltarmi, ma so che sta credendo forse
a metà di quello che dico. Col tempo l’ho abituato a non fidarsi troppo dei
miei racconti.
Colgo l’esitazione e vado avanti a raccontare.
“Noi nerd di ludoteca non lo sapevamo, ma eravamo già
preparati all’eventualità di un’apocalisse. Per anni abbiamo affinato le nostre
abilità organizzative e sociali con Dead of Winter, sviluppato il senso di
collaborazione con Pandemic, imparato a gestire le risorse con Brass.
I giocatori american sono stati i primi a capire quanto
l’apocalisse sarebbe potuta diventare una nuova opportunità. A loro non
sembrava nemmeno vero di poter partecipare alla versione live action di Death
May Die, oltretutto con la variante open world. Si sono offerti per primi di
proteggere il rifugio e di coordinare gruppi di ricognizione con lo scopo di
cercare cibo e sopravvissuti.
Poi avevamo bisogno anche di pianificazione interna, e per
quella abbiamo chiesto aiuto ai giocatori german. Gli anni passati a contare
legnetti hanno permesso loro di rimanere concentrati mentre la civiltà come
l’abbiamo conosciuta si stava sgretolando, perciò dobbiamo ringraziare loro e
il loro training sulle plance di Village se nell’ex parchetto dietro all’Ultimo
Turno abbiamo un orto biodinamico irrigato autonomamente, o se il nuovo sistema
di isolamento dell’edificio non ci fa sprecare nemmeno una risorsa calore. Per
dire, quel coso lì l’hanno fatto loro.”
Indico una cyclette con ancora attaccati gli adesivi della
palestra a cui apparteneva in una vita precedente, prima di diventare il
componente principale di un generatore di elettricità a pedali.
“Con quella produciamo energia sufficiente per far andare
avanti Viaggi nella Terra di Mezzo quanto vogliamo, e se ci avanza, anche per
avere un po’ di luce dopo le sei. Ma già prima che scoppiasse tutto quel casino
avevamo delle ottime alternative agli strumenti elettronici, quindi non ne sentiamo
così tanto la mancanza.”
Sul finire della frase, Brando mi fa cenno di stare in
silenzio.
Avvertiamo un frusciare di stivali tra le foglie secche
provenire da fuori della porta. Rimaniamo immobili per qualche secondo, poi
Brando si alza lentamente e si nasconde tra le gli scaffali delle miniature,
mentre io rimango seduto a sorseggiare dal mio bicchiere. La porta si apre,
rivelando un uomo che, a giudicare dalle mani sporche e dall’aria trafelata,
deve aver viaggiato parecchio.
In un attimo, Brando esce allo scoperto e blocca lo
sconosciuto puntandogli una tronchesina di Warhammer alla gola. Finisco di
bere, mi alzo dalla sedia sbuffando per la fatica, carico uno dei miei sorrisi
di quand’ero un negoziante, ed accolgo il tipo sospetto a braccia aperte.
“Benvenuto, viandante. Spero tu abbia buone intenzioni.”
Il viandante risponde qualcosa come
“nonsonouncultistalogiuro” usando solo i movimenti degli occhi e di una vena
del collo.
“Ben detto, ben detto. Dunque, se stai dalla parte dei
buoni, rispondi a questa semplice domanda.”
La sala smette di respirare per qualche secondo.
Più di un ospite dell’Ultimo Turno ricordava di aver vissuto
la stessa identica scena, ma dalla parte sbagliata della lama. Gli unici
rumori, una gocciolina di sudore che si schianta per terra e lo sbuffare di un
cavallo.
“Dimmi… è meglio Agricola o Caverna?”
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