Dietro ai paroloni usati nel gergo specifico di chi parla di gdr (ma quanto cazzo di tempo hanno se poi devono anche giocare???), ecco un altro articolo - sempre da Dietro lo schermo - su alcuni concetti che in realtà sono molto comuni nel mondo dei master (non è comune invece che esistano chat su chat in cui fanboy e haters delle diverse visioni si "confrontano"...).
Disclaimer: eventuali riferimenti non chiari fanno riferimenti agli articoli precedenti della stessa serie. Non li ho messi perché mi sembravano troppo tecnici (anche per me...) e poco interessanti. Questo è un po' il riassuntone delle puntate precedenti.
Ma quantum parlo? (agency again, parte 4)
Parlo troppum. Specialmente su questo argomento del quantum ogre / ogre quantico. Ma vi rassicuro: con oggi ho finito. Nella scorsa puntata di questa mini-serie ho ripassato cos’è, e ho provato a distinguere tra informazioni quantiche e sfide quantiche. Oggi provo a vedere perché si fa, e quando può causare problemi.
Facciamo il punto
Una cosa su cui io e molti altri autori siamo d’accordo (nella scorsa puntata ho citato come esempi i video di Seth Skorkowsky e di Master Kae) è che il quantum ogre non va demonizzato. È una cosa complessa, o meglio, un’espressione sotto cui si fa ricadere un complesso insieme di cose: proprio la matassa che sto cercando di sbrogliare.
Avrei potuto dire: “il quantum ogre non è sempre sbagliato”. Ma non mi piace parlare in termini moraleggianti: cerco di essere pragmatico, parlando di cosa funziona e cosa non funziona.
Non è questione di simulazione
Si è spesso portati a pensare che il problema dell’ogre quantico sia che il Diemme va a interferire con un presunto mondo di gioco autonomo, completo in tutti i dettagli, in cui ogni cosa ha un posto definito in ogni momento: una sorta di “mega-simulazione”.
Ciò non ha senso. In primo luogo quella “simulazione perfetta” è impossibile: nessun Diemme può umanamente gestirne una, neanche assistito da un supercomputer. E poi non è neppure desiderabile: stiamo giocando, e il mondo immaginario è un elemento finalizzato a quello; la giocabilità, per così dire, ha la precedenza.
Non è questione di percezione
A questo punto, molti pensano che l’ogre quantico sia problematico quando si nota, sembra “forzato”, infrange la “coerenza” (apparente) del mondo di gioco, disturba “l’immersione” o come la vogliamo chiamare.
Qui non sono d’accordo, come ho anticipato nella scorsa puntata.
Secondo me il discrimine cruciale è un altro. L’ogre quantico disfunzionale è quello che va a compromettere la comprensione, da parte dei giocatori, della portata delle loro decisioni e di come queste decisioni producono conseguenze nel gioco. Il che mi porta a dire che certe volte, semmai, è molto meglio che l’ogre quantico si noti.
Vediamo se riesco a spiegarmi.
Perché quel bivio?
Cambiamo angolazione. Supponiamo che abbiamo un buon motivo, noi Diemme, per imporre che un certo incontro si verifichi a prescindere dalle scelte dei giocatori. A questo punto la domanda diventa: perché quelle scelte?
Esempio classico (si trova in entrambi i video citati): hai un bivio all’inizio del tuo dungeon ma, qualunque stanza visitino per prima i PG, incontreranno lo stesso ogre, l’ogre quantico.
Il dungeon però l’hai fatto tu, giusto? Quindi, perché quel bivio? Non ti conveniva mettere un corridoio solo?
Altro esempio, dal video di Kae: una banda di briganti che attacca i PG sia che prendano la strada commerciale, sia che prendano il sentiero di montagna. Allora a cosa serve avere queste due diverse strade?
Non è escluso che ci siano valide risposte. Parliamone.
Incontro per caso: gioco di
pigrizia
Magari il bivio serve a scegliere altro: la destinazione finale, ad esempio. Il primo corridoio porta alle cripte, il secondo alla sala del trono. La via commerciale porta a una certa città, il sentiero di montagna a una città diversa.
Come intermezzo c’è un incontro. Non relativo a quella scelta: è solo una parentesi, un intoppo per bruciare un po’ di risorse; un problema da risolvere a sé stante, carino ma slegato dal resto. E non hai tempo di prepararne più di uno. Allora ne prepari uno solo, e usi quello in ogni caso.
Forse vi stupirò, ma in questo non vedo, in teoria, nessun problema. (Succede anche a me – e in effetti sono molto pigro.)
La scelta tra i vari percorsi è autentica, e può essere consapevole e ragionata, se si hanno informazioni in merito. Poi quei percorsi sono anche pericolosi. Guardacaso, altrettanto pericolosi. E, guardacaso, il pericolo è lo stesso. Che importa?
Per paradosso, è come avere su ogni percorso un incontro casuale, riferito sempre alla medesima tabella, la quale contiene 1 solo incontro. Quando si usano incontri casuali succede, eccome, che più aree o percorsi (spesso, interi dungeon) abbiano in comune la stessa tabella. Che essa abbia un’unica voce è un caso degenere, la rende una non-tabella, ma fa molta differenza? Anche se ne avesse 100, non cambierebbe il fatto che scegliere l’uno o l’altro percorso non impatti sull’incontro generato. E non lo vedremmo come uno scandalo.
Ammetto che sono un po’ scettico circa l’effettivo risparmio di tempo e fatica con il “gioco di pigrizia” (*), ma non è il punto: anche se avessimo deciso che sulla prima strada c’è un ogre e sulla seconda un dinosauro i giocatori, privi di informazioni a riguardo, non avrebbero scelto in base a quello.
(*) Lo capisco già meglio se siete dei disgraziati come me, che si sono reinventati il regolamento e i mostri devono crearseli da zero. Ma normalmente basta pescare un mostro in più dal manuale: questione di un minuto, suvvia!
I giocatori scelgono consapevolmente di intraprendere un cammino pericoloso (questo è importantissimo), senza sapere in cosa consista il pericolo. E scelgono tra una strada e l’altra in base a fattori realmente impattanti. Poi capita, per caso, un incontro slegato da quei fattori: a quel punto scelgono come affrontarlo. La loro agency si esprime in queste cose. È una situazione piuttosto comune in D&D.
Coincidenze volute: gioco di
prestigio
Spesso, però, il Diemme “quantizzatore” ricorre a questo trucco per farmi incontrare non un generico troll, o una generica banda di briganti, ma quel troll, Pinko Panko, o quella banda, di Ciccio il Forzuto, che ha un significato particolare per la storia che stiamo giocando, per le “cose in ballo” (vedi parte 1) che vogliamo determinare. Lo fa perché ha scritto l’avventura in modo tale che, se non incontrassimo quel troll o quella banda in quel momento, non potrebbe proseguire (o, almeno, non nel modo che lui ha pensato e che reputa equo e soddisfacente per tutti).
Allora l’incontro non è un semplice caso bensì una coincidenza. È qui che vedo problemi.
Spero sia chiara la differenza, perché è cruciale. Se entro in un locale malfamato qualunque e mi salta addosso un tagliagole qualunque, è un caso. Se entro in un locale malfamato qualunque e mi si para davanti il mio vecchio rivale dell’accademia, e/o la mente criminale dietro l’intera avventura, è una coincidenza. Che il Diemme, per “gioco di pigrizia”, piazzi sul sentiero un ogre o un dinosauro non cambia granché per nessuno, quindi possiamo considerarlo un caso. Ma se al posto di Pinko Panko ci fosse un dinosauro, o anche solo un qualsiasi altro troll, cambierebbe tutto, l’incontro avrebbe proprio una funzione diversa: quindi è una coincidenza.
Spesso si parla di quantum ogre in modi che non aiutano a chiarire questa distinzione, che per me è quella fondamentale.
Quando un Diemme “gioca di prestigio” non sta risparmiando tempo ed energie su cose di secondaria importanza: al contrario, sta inserendo ad arte dei passaggi di fondamentale importanza (per, direbbe qualcuno, “mandare avanti la storia”) senza far capire che è stato lui a farlo.
Notate la diversa funzione del bivio. Nel “gioco di pigrizia” serviva a fare una scelta reale, impattante sul gioco (era l’incontro, semmai, a essere di poco importante e quindi “riciclato”). Nel “gioco di prestigio”, invece, serve soprattutto a illudere i giocatori che l’incontro sia stato trovato, che sia dipeso da loro.
Questo può essere la spia di due cose. Primo, che i giocatori non sono in grado di portarsi avanti in modo autonomo e deliberato: se fossero loro a voler andare da Pinko Panko non ci sarebbe bisogno di farlo apparire “quanticamente” per coincidenza. Secondo, che si preferisce non farglielo sapere, cioè che (per il modo di giocare del tavolo) le “sensazioni” provate dai giocatori hanno la precedenza rispetto alla loro consapevolezza. (Vi ricorda qualcosa?)
Spunti di riflessione
Non voglio esprimere giudizi morali su queste coincidenze, ma capire perché ne sentiamo il bisogno e che effetti hanno sulla giocata. Prima di rivendicare l’uso di uno “strumento” occorre essere consapevoli di ciò che comporta: non solo sull’apparenza della fiction, ma soprattutto sul gioco in quanto gioco.
Attenti al droide
Intanto, senza gridare al railroad, vale la pena osservare che una storia che per andare avanti ha bisogno di coincidenze non è il massimo. Può andar bene una coincidenza all’inizio, per darle il via (un’informazione quantica, vedi parte 3). Ma poi, se è buona, prosegue attraverso solidi nessi causali, non elementi fortuiti.
Pensate a Guerre Stellari: Il risveglio della Forza (pessima storia), dove un droide in fuga dai cattivi incontra per coincidenza la protagonista, e due tizi in fuga dai cattivi precipitano per coincidenza proprio vicino a lei (sull’intero pianeta), e per coincidenza la incontrano, e poi fuggendo si impossessano per coincidenza proprio del relitto di una famosa astronave, e poi per coincidenza si imbattono nel vecchio proprietario che l’aveva persa, eccetera. E confrontatelo con Guerre Stellari: Una nuova speranza (buona storia), dove un droide in fuga dai cattivi viene, sì, comprato (quasi) per caso dal protagonista, ma poi lo conduce dal vecchio saggio perché sta cercando il vecchio saggio per riferirgli una richiesta di aiuto, mentre i cattivi sterminano la sua famiglia perché stanno inseguendo il droide, e il protagonista e il saggio salgono sull’astronave di un famoso contrabbandiere perché permetterà loro di sfuggire a quei cattivi, eccetera.
Impariamo ad accorgerci se la nostra avventura ha bisogno di coincidenze, e a chiederci perché. Spesso la risposta è che, senza di esse, i giocatori non hanno abbastanza “leve” o informazioni per agire appieno. Fornirgliele con una “coincidenza quantica” è senz’altro meglio che non fornirgliele. D’altro canto, è indice che non sono in grado di procurarsele da soli senza essere “imbeccati”: questo “cordone ombelicale” non dimostra, in fondo, carenza di agency? (E, al di là di quello, non dimostra che la nostra storia è debole?)
Il dungeon quantico
In un passaggio del suo video, Kae fa un esempio molto brillante. Il Diemme dà ai giocatori l’informazione che il dungeon a cui vogliono recarsi è da qualche parte sulle montagne. Non dice il punto preciso, e non lo sa nemmeno lui. Lascia che discutano e ragionino su dove potrebbe trovarsi, e quando arrivano a una conclusione (qualunque) e si mettono in marcia… lo fa essere lì. Lo ritiene un modo per gratificare i giocatori, ricompensando il loro ragionamento.
Sarebbe riduttivo descriverlo solo come un modo per risparmiare tempo: c’è molto di più. I giocatori credono di aver cercato e trovato il dungeon, mentre non è così. È un’illusione che nasconde quali loro decisioni hanno avuto davvero impatto, cosa ha causato cosa. Nulla di grave, intendiamoci, ma va in senso esattamente contrario rispetto a quel dare informazioni chiare che è un requisito dell’agency (ci ho insistito molto nella parte 2).
In altre parole, non è che ti sottraggo agency se decido, a mia discrezione, che incontri un ogre: ti sottraggo agency se ti faccio credere (erroneamente) che tu l’abbia incontrato in conseguenza delle tue scelte. Mica per l’incontro in sé: perché inquino la tua comprensione dei meccanismi del gioco, e quindi ti rendo sempre più difficile, in futuro, prendere decisioni consapevoli.
Restando su questo esempio: se ti abituo a “buttarti” in base a ipotesi approssimative e traballanti, perché tanto le cose, in un modo o nell’altro, finiranno per girare bene, ti disabituo a cercare informazioni e farne tesoro, dar loro importanza, valutarle, ragionarci sopra responsabilmente.
Spesso, nelle discussioni sull’ogre quantico, si tiene a precisare che “se è fatto bene i giocatori non se ne accorgono”; ma, in effetti, il fatto che non se ne accorgano può essere proprio il problema.
Il prezzo dell’illusione
In uno dei suoi migliori articoli, DM David argomenta bene su questo. Anche se non sono d’accordo con il 100% di quello che dice, vi raccomando davvero di leggerlo:
https://dmdavid.com/tag/illusionism-if-player-choices-seem-to-matter-does-it-matter-if-they-dont/
La domanda centrale che si pone è:
Finché i giocatori credono che
le loro scelte contino, che importanza ha se in realtà non è così?
(traduzione mia)
E la risposta, molto pragmatica, è interessante. Un GdR, come sappiamo, si basa sul prendere decisioni e affrontarne le conseguenze. Ma c’è decisione e decisione. Scegliere tra destra e sinistra in un bivio anonimo è molto diverso da scegliere tra la strada lunga ma ben protetta e quella breve ma infestata di mostri. La scelta è tanto più interessante quanto più si hanno informazioni dettagliate sulle conseguenze delle diverse opzioni. Queste informazioni sono vincoli su ciò che succederà dopo: diventano cose che non è più lecito rendere quantiche.
Le buone scelte si basano su
informazioni tali da rendere l’illusione difficile. Quelle che permettono
facilmente di fare illusionismo sulle conseguenze, invece, tendono a essere
scelte stupide basate su fatti frammentari. Mettere i giocatori di fronte a
opzioni così vaghe non arricchisce il gioco.
L’uso ripetuto di ogre quantici, insomma, rischia di abituare noi Diemme a presentare al tavolo decisioni poco informate e quindi poco interessanti.
Ogni volta che presentate una
scelta illusoria, vi perdete l’occasione di offrire quel genere di scelta reale
– di dilemma – che potenzia il gioco.
Volere è potere
Tempo fa, su Dragons’ Lair (vedi collaborazioni), un utente scriveva, se non ricordo male, di aver bisogno che i suoi PG passassero per caso da una certa foresta, così avrebbero incontrato il druido che ci viveva, che avrebbe dato loro qualcosa di essenziale per la loro missione.
Spero sia evidente che è molto più funzionale che i PG sappiano che il druido ha quella cosa essenziale e vive lì: a quel punto vorranno cercarlo e andranno di loro iniziativa nella foresta.
Può assolutamente capitare che una sfida sia inevitabile perché c’è una ragione oggettiva, logica, per cui non si può arrivare all’obiettivo senza affrontarla (è in questo senso che ho parlato di “incontri obbligatori” in Programmazione ad incontri). Se voglio l’Arkengemma e il drago Smaug ci dorme sopra, non posso materialmente prenderla senza incappare in Smaug (anche se magari farò del mio meglio per non svegliarlo). Il Diemme, notate, non ha bisogno di “quantizzare” Smaug per farmelo incontrare: lo andrò a cercare da solo.
Insomma, se proprio si vuole che un incontro “avvenga di sicuro”, il modo funzionale è assicurarsi che i PG abbiano un motivo per andarlo a cercare, o perlomeno che l’incontro abbia un motivo per andare a cercare loro. A quel punto non sarà più una coincidenza, ma la conseguenza logica di una causa oggettiva.
Elogio della chiarezza
Il Diemme sa bene cosa è quantico e perché. Tipo, che le scelte dei giocatori riguarderanno certe cose (es. la destinazione del sentiero, lo scenario degli incontri) ma non altre (es. il contenuto degli incontri). Ma il resto del tavolo ne è consapevole?
Noi Diemme siamo abituati ad avere dei segreti: informazioni che, come parte del nostro ruolo, dobbiamo tenere per noi… finché i giocatori non le scoprono. Ma lasciatemi mettere l’accento su quest’ultima parte. Le tipiche informazioni nascoste di D&D sono tali perché sono cose da scoprire: com’è fatto il dungeon, dove sono le trappole, dov’è il tesoro, chi lo difende, eccetera.
Ogni volta che ci accorgiamo di tenere nascoste delle cose ai giocatori non affinché possano scoprirle, ma perché non vogliamo che le scoprano, dovrebbe accendersi un piccolo segnale di allarme nella nostra testa.
Come abbiamo detto, la cosa più importante da sapere, per un giocatore, è come funziona il suo ruolo nel gioco, e cosa sta davvero decidendo quando decide qualcosa. Se pensa, erroneamente, che le sue scelte impattino anche su cose che in realtà sono “quantiche”, c’è carenza di chiarezza al tavolo. Non è gravissimo, è solo dannatamente facile da risolvere: basterebbe spiegargli come funziona davvero.
In un passaggio all’inizio del suo video, Skorkowsky menziona un caso in cui, ovunque vadano i PG, il punto di arrivo finirà per essere sempre Ravenloft, perché quello è il modulo che il Diemme ha comprato e che vuole giocare; può cambiare solo come ci arrivano. Non è un crimine. Ma i giocatori lo sanno? Se no: perché? Per quale motivo riteniamo un valore aggiunto tenerli nell’ignoranza e “pilotarli” di nascosto a colpi di ogre quantici (per poi, magari, lamentarci pure se con le loro scelte ignare ci complicano le cose)? Forse una parte di noi teme che se “scoprissero il trucco” si divertirebbero meno? Abbiamo almeno provato a chiederglielo?
Una provocazione finale
Quante volte capita di sentire un Diemme lamentarsi che i suoi giocatori sembrano giocare a casaccio, facendo di proposito cose stupide, senza ragionare, come se non si curassero delle conseguenze? Li chiamiamo giocatori oppositivi, immaturi o casinisti. Magari ci ridiamo sopra, facciamo mille meme sul Diemme che prepara accuratamente la storia e i giocatori che con le loro azioni irresponsabili gliela “rompono”. E spesso pensiamo che tocchi allo stesso Diemme metterci una pezza per “riaggiustare” le cose. Magari una pezza quantica.
La mia convinzione è che i giocatori che scelgono a casaccio siano la perfetta controparte dei master che usano quantum ogre (intendo quelli del tipo “gioco di prestigio”). È un circolo vizioso in cui una cosa alimenta l’altra.
Più aggiustiamo le cose per “farle tornare comunque”, a prescindere dalle scelte dei giocatori, e più li addestriamo a fare scelte non ragionate perché tanto si aggiusterà tutto lo stesso. Li addestriamo, in altre parole, a non prendersi responsabilità di quelle scelte. Per cui, in futuro, agiranno sempre più alla leggera e i nostri interventi “correttivi” saranno sempre più necessari, e così via.
Se invece c’è chiarezza su cosa c’è in ballo nel gioco, e i giocatori possono prendere decisioni informate vedendo l’impatto che esse hanno, non c’è bisogno di sfide quantiche.
(Ben vengano invece le informazioni quantiche che, come ho detto nella scorsa puntata, quantiche non sono – vedi sotto per un approfondimento.)
Nella prossima puntata torneremo sul concetto di agency sfatando alcuni miti.
(Edit:) Due esempi di
informazione quantica
Master Kae è stato così gentile da commentare sotto lo scorso episodio. Lo ringrazio non solo per la pazienza, ma perché mi ha fornito ottimi spunti per chiarire meglio quello che voglio dire. Ne approfitto qui.
Intanto, è interessante notare che tutti i suoi esempi sono informazioni quantiche, non sfide.
Ci vorrebbe un amico
I PG vogliono parlare con un loro vecchio amico. Il Diemme ha deciso che si trovi alle terme, ma loro decidono di andarlo a cercare alla locanda (evidenzio questi due passaggi). Se alla locanda non c’è niente di interessante, non è meglio “spostare” l’amico lì, anziché giocare una scena inutile? Di certo i giocatori si annoierebbero con una sequela di: “no, non è qui, prova da un’altra parte”.
Se avete letto con attenzione la scorsa puntata, dovreste aver capito al volo dove sta l’errore: nei due passaggi evidenziati. Che motivo c’è che il Diemme decida una posizione precisa per quel PNG? E, soprattutto, che motivo c’è che i giocatori debbano dire il locale specifico in cui lo cercano, mettendo su di fatto un mini-gioco “indovina dov’è”? Nessuno. Ragioniamoci un attimo.
Esempio 1
Giocatore: “Andiamo
a cercare Amico Fritz”
Diemme [sapendo
che è alle terme]: “Dove lo cercate?”
Giocatore: “In
locanda”
Diemme: “Non
c’è. Ora dove lo cercate?”
Giocatore: “All’emporio”
Diemme: “Non
c’è neanche lì. E ora?”
Giocatore: “Alle
terme”
Diemme: “Sì,
è proprio lì!”
Esempio 2
Giocatore: “Andiamo
a cercare Amico Fritz”
Diemme [sapendo
che è alle terme]: “Dove lo cercate?”
Giocatore: “In
locanda”
Diemme [lo
“sposta” di nascosto per risparmiare tempo]: “Ehm… sì, è proprio in
locanda!”
Credo sia pacifico che l’esempio 2 sia meglio dell’esempio 1. Ma è davvero il meglio che si può fare? Proviamo un altro approccio:
Esempio 3
Giocatore: “Andiamo
a cercare Amico Fritz”
Diemme [sapendo
che prima o poi lo troveranno, non ci sono rischi e non ha senso perderci
tempo]: “Bene, dopo un po’ di ricerche lo trovate alle
terme”
Molto meglio, no? (E forse ancora meglio sarebbe: “Bene, lo trovate”, senza specificare dove, se non ha rilevanza.)
Non si tratta di rendere quantico l’incontro, si tratta di liberarsi dal preconcetto della simulazione, dall’idea che il gioco si debba svolgere in “modalità micromanagement” (o forse dovrei dire “modalità dungeon”) anche in situazioni tranquille in cui non ci sono rischi, sfide, ma solo passaggi di informazioni. Per questo dico che in realtà le informazioni quantiche non sono quantiche.
Colpo di scena!
Dopo una lunga prima parte della campagna di Kae, i PG (e i giocatori) dovevano venire a sapere qualcosa che avrebbe cambiato la loro prospettiva su ciò che era successo fino a quel momento. Non so i dettagli; posso ipotizzare che fosse, ad esempio, un classico caso “alla Tomb Raider” in cui un quest giver o alleato si rivela invece un traditore, un nemico. Un’informazione cruciale per proseguire la giocata con piena agency, dice giustamente Kae. Quindi è stato necessario un incontro quantico con un PNG che gliela fornisse.
Ah, il colpo di scena che spariglia le carte! Ne misi uno anch’io nella prima campagna lunga che ho masterato (ve la ricordate?): un mite PNG dall’aria innocua, borgomastro del villaggio di partenza, nell’ultima avventura si rivelò essere un perfido lich (l’ho accennato anche qui) che aveva manipolato i PG per i suoi piani. Ero davvero inesperto e fu una campagna scritta e gestita malissimo. Ma comunque divertente.
Oggi non lo rifarei. Ma è pur vero che ho parlato di investigazioni “da asporto”, cioè della possibilità che ci sia un indizio legato a un innesco temporale o comunque esterno: inizialmente non è accessibile, a un certo punto lo diventa.
È quantico? La mia risposta è no, non necessariamente: anzi, in realtà dovrebbe esserci una ragione logica per cui a un certo momento diventa disponibile, e a quel punto anche una ragione logica per cui “arriva” ai PG, se necessario. Tornando all’esempio di Kae, se il PNG a un certo punto ha un motivo per cercare i PG e rivelare loro l’informazione, incontrarlo non sarà una coincidenza, non avrà niente di quantico. Se si imbattono in lui per quello che sembra un puro caso, è già un altro discorso.
In realtà, però, il dibattito sulle parole mi
interessa poco: siete liberi di chiamare (o non chiamare) “quantico” o
“quantistico” quello che volete, in base ai criteri che volete. Come ho detto
all’inizio, per me il discrimine cruciale è perché si fa questa manovra e che
effetto ha sulla consapevolezza che i giocatori hanno dei meccanismi del gioco.

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