Dopo il bell'articolo linkato da Lele su WhatsApp, complici gli scrutini, sono andato un po' a spulciare in rete alcuni commenti ed ho trovato questo bel commento su movieplayer.it.
Tutti conoscono la definizione di
cult movie, e tutti noi abbiamo in qualche modo contribuito almeno una volta
nella vita a trasformare una semplice pellicola in un'icona, in un oggetto di
culto. L'abbiamo fatto grazie alle visioni multiple offerte dalle TV o
semplicemente citando a memoria agli amici passaggi interi della sceneggiatura;
ma l'abbiamo fatto, e abbiamo così deciso, più o meno inconsciamente, che
alcuni film meritano di rimanere non solo nella nostra memoria ma in quella
storica della società in cui viviamo.
Ma cosa hanno di speciale questi
film? Cosa li rende tanto memorabili da acquisire un pubblico tutto loro, che
prescinde dal genere, dalla nazionalità, dagli attori o dal regista e che gli permette
di entrare nella cultura popolare più di quanto possano fare, a volte, i più
grandi successi al botteghino o i vincitori dei premi più prestigiosi? Questa è
una domanda che probabilmente non troverà mai risposta, perché se ci può essere
in qualche modo una formula per realizzare un (quasi) sicuro successo
commerciale, non c'è invece nulla che garantisca quel seguito
"fanatico" che solo pochi film riescono a conquistare.
IL FLOP CHE NON TI ASPETTI
I tanto bistrattati anni '80, per
esempio, di cult movies ne hanno avuti in abbondanza, soprattutto per quanto
riguarda il cinema americano. Ma se E.T. L'Extraterrestre, L'impero colpisce ancora e Il
ritorno dello Jedi, Ghostbusters, I predatori dell'arca perduta e Ritorno al
futuro sono stati tra i veri fenomeni del decennio anche al botteghino, e altri
film come I Goonies, The Blues Brothers, Karate kid hanno ottenuto risultati molto
positivi, altre opere sono riuscite a conquistare il pubblico soltanto con
l'arrivo in VHS direttamente nelle case degli spettatori.*
*Aggiungo a questi film altri titoli presi da un altro articolo dello stesso sito, che aggiunge una chiave di lettura interessante per certi film degli anni '80.
Labyrinth, come pure Legend, Willow, Ladyhawke e molti altri teen fantasy dello stesso periodo, è un film unico. Non prevedeva trilogie, sequel o serialità. Allora i film per ragazzi erano un genere di serie B: non eravamo ancora l'unica fascia d'età che fa girare i soldi, e i titoli per noi si realizzavano con la consapevolezza che gli incassi non sarebbero arrivati. Dobbiamo ringraziare produttori come George Lucas (tra gli executive anche di Labyrinth) che ce li hanno regalati per il puro piacere di fare arte e non per l'incasso. La vicenda iniziava e si esauriva, e noi quelle videocassette le consumavamo fino a conoscere le battute a memoria. Nessuno si aspettava un seguito, nessuno faceva paragoni con il libro.
Parliamo di titoli "difficili" come Blade Runner e Brazil ma anche di Grosso guaio a Chinatown che quando arrivava nelle sale USA esattamente 30 anni fa, il 2 luglio del 1986, aveva tutte le carte in regola per essere un nuovo trionfo del regista di grandi e inaspettati successi come Halloween o Fog. Certo, i successivi La cosa o Starman non avevano funzionato altrettanto bene, ma Big Trouble in Little China aveva, almeno in teoria, il pregio di riproporre l'attore Kurt Russell in un ruolo carismatico e da duro come quello visto in 1997: Fuga da New York.Un po' per colpa della
contemporanea uscita di un film come Aliens - Scontro finale di James Cameron,
un po' per l'ambientazione cinese fin troppo abusata in quel periodo (l'anno
prima c'era stato L'anno del dragone e dopo pochissimo sarebbe arrivato
l'iperpubblicizzato Il bambino d'oro con Eddie Murphy), il film di Carpenter
però fu un sonoro flop non solo al botteghino (dove incassò solo 11 milioni a
fronte di un budget di oltre 20) ma anche per la critica dell'epoca, e fu così
che il regista, che invece del film era particolarmente fiero e che da tempo
desiderava realizzare un film di arti marziali, decise di lasciare Hollywood
per un cinema più indipendente.
30 ANNI DI GROSSI GUAI, MA GRAZIE
A CARPENTER NOI SIAMO NATI PRONTI!
Da quel momento il cinema di John
Carpenter non è stato mai più lo stesso. Nella sua filmografia non sono mancati
altri film diventati di culto (Essi Vivono e Il seme della follia su tutti) ma
è stata proprio la rovinosa release di Grosso guaio a Chinatown a sancire
l'inizio della fine per una carriera che, a cavallo tra gli anni 70 e gli 80,
sembrava destinata a successi sempre maggiori. Quel "Grosso guaio"
del (bel) titolo assunse un significato davvero diverso da quello che Carpenter
poteva inizialmente immaginare e non bastò l'incredibile successo che ebbe sul
mercato homevideo e le incredibili dimostrazioni d'affetto dei fan nei confronti
del film e del suo protagonista Jack Burton a fargli ritornare il buon umore.
UNA QUESTIONE DI RIFLESSI
Per un bambino di 10 anni
scoprire un film come quello di Carpenter vuol dire accedere ad un intero
universo fatto di fantasia: ci sono buoni e cattivi, mostri e persone
normalissime, magie e armi bianche; ci sono leggende molto antiche e luoghi
esotici; gang che si affrontano, nemici che arrivano dal cielo, fanciulle da
salvare e un personaggio che viene da un mondo completamente diverso e non
magico in cui è facilissimo immedesimarsi. Per un bambino di 10 anni che per
tutto il resto della sua vita continuerà a guardare e divorare film senza
pregiudizio alcuno ma solo con tanta fame e desiderio, all'interno di questo
"flop" ad aspettarlo, c'è il western alla John Wayne (addirittura la primissima
sceneggiatura era ambientata nel 1880), ci sono dialoghi che sarebbero perfetti
per le screwball di Howard Hawks, ci sono gli eroi alla Harrison Ford di Lucas
e Spielberg ed ovviamente le atmosfere e le musiche tipiche di Carpenter e dei
suoi capolavori "horror" precedenti, su tutti Distretto 13: le
brigate della morte. E chissà quante altre suggestioni.
È invece sbruffone, arrogante e
un po' cialtrone, convinto di avere tutte le risposte ma in realtà passa gran
parte del film a fare domande e a non capire quello che realmente gli sta
succedendo intorno; il suo personaggio è insomma più una (auto)critica al
tipico eroe del cinema americano che l'esaltazione dello stesso, tanto che alla
fine non cede nemmeno alla tentazione del lieto fine con la bella di turno
(un'affascinante e indipendente Kim Cattrall) e nel momento più importante,
quello della battaglia finale, dopo tante chiacchiere e promesse, si ritrova
svenuto e KO sul pavimento a causa della sua stessa incompetenza.
Eppure la figura di Jack Burton - perfettamente incarnato da Kurt Russell - rappresenta il meglio del cinema di Carpenter, così come il suo rapporto con l'altrettanto convincente Dennis Dun simboleggia il tanto ricercato e riuscito contrasto tra il cinema americano più esagerato e fracassone e l'eleganza e il misticismo di quello orientale. Un difficile equilibrio tra il popolare e l'autoriale che ci regala così un cinema ricco e stratificato, sicuramente imperfetto e pasticciato - e, visto oggi, anche un po' antiquato - ma che sapeva osare, aveva il coraggio di mescolare ingredienti apparentemente contraddittori (in un film del genere chi altri avrebbe mai messo una colonna sonora del genere preferendola a musiche orientaleggianti?) e così facendo aumentava quella fame e quella voglia di cinema che in tanti, non solo bambini di 10 anni, hanno fortunatamente dimostrato di avere in questi 30 anni. Per questo Grosso guaio a Chinatown oggi si fa fatica a considerare come un flop, come un film che può determinare e far fallire una carriera, perché in realtà ne ha fatte nascere molto altre.
I consigli del vecchio Pork Chop Express sono preziosi, specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo. Basta che vi ricordiate quello che fa il vecchio Jack Burton, quando dal cielo arrivano frecce sotto forma di pioggia e i tuoni fanno tremare i pilastri del cielo. Sì, il vecchio Jack Burton guarda il ciclone scatenato proprio nell'occhio e gli dice: “Mena il tuo colpo più duro, amico. Non mi fai paura.”
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