Kinsom: “Formazioni di monti, in particolare, con due cime che assomigliano a dita alzate, ne avrò viste dieci o dodici.
”
Lupus: “Adesso ricordo! Almeno, mi sembra. La mia memoria non è davvero molto buona. Le due cime gemelle che formano una V sono chiamate Le Pinze, un terzo passaggio verso le Pianure di Hoare. Nei monti a nord del Worl Run, dove la massa è più impenetrabile. Ma non c’è alcun passo, da quelle parti, che io ricordi. Però ricordo quella forma zione. Sì, adesso la ricordo!”
8° GIORNO: SALITA ALLA PRIMA CATENA DI MONTI E RICORDO DE “ LE PINZE”
Una volta che a Lupus fu tornata alla memoria il nome della catena montuosa, la compagnia ripartì all’alba, diretta a nord verso il Worl Run.
Preia Starle era tornata durante la notte riferendo che non c’era traccia di inseguitori nelle vicinanze. Gli Hobgoblin li stavano ancora cercando, ma avrebbero avuto difficoltà a trovarli su quelle montagne, dove le tracce tendevano a scomparire in mezzo alle pietraie e ai passaggi tortuosi. Con un po’ di fortuna, non sarebbero stati scoperti finché non avessero trovato ciò che cercavano. Cavalcarono verso nord per il resto della giornata senza scorgere gli inseguitori, procedendo lungo una serie di profonde vallate che serpeggiavano fino al passo del Worl Run. Quella notte si accamparono su un alto pianoro da cui si scorgevano il passo e le valli che portavano al Sarandanon: erano ormai vicini alla formazione a V soprannominata “Le Pinze”.
9° GIORNO: FINALMENTE “ LE PINZE”
Ripartirono all’alba e verso mezzogiorno arrivarono alle Pinze. Le riconobbero subito, basandosi sulla descrizione di Tay Trefenwyd. Le cime formavano una netta V sull’orizzonte, e tra l’una e l’altra si stendeva un ammasso di cime più basse, consumate dal tempo e dalle intemperie e quasi del tutto spoglie, a parte qualche macchia di abeti e di ontani e qualche pascolo coperto d’erbae fiori selvatici. Al di là della formazione, in mezzo alla spaccatura della V, si scorgeva una parete che la nebbia rendeva irriconoscibile.
Cacciarono per procurarsi il cibo (Lupus sorprese tutti con la sua abilità).
Azael si fermò ai piedi del passo che portava alle cime gemelle e smontò di sella. La giornata era chiara e luminosa, le nubi gravide di pioggia si erano spostate più a est, in direzione del Sarandanon. Sentivano sulla faccia i raggi del sole, caldi e rassicuranti, mentre guardavano il grande ammasso di rupi e pietraie chiedendosi quali segreti nascondesse.
“Lasceremo i cavalli qui” si accordarono Preia e Azael “e proseguiremo a piedi.”
Sorrisero nel vedere l’espressione degli altri “In qualsiasi caso, non potremmo fare ancora molta strada a cavallo. Dovremmo lasciarli nel passo, visibili ai nostri inseguitori. Lasciandoli adesso, invece, possiamo nasconderli in mezzo agli alberi. Può darsi che dobbiamo fuggire di corsa, prima che tuttosia finito.”
Si accense un dibattito quando proposero che Lupus restasse con gli animali, ma gli fecero notare che c’era il rischio di dover cambiare nascondiglio se gli Hobgoblin si fossero avvicinati troppo, e che forse chi rimaneva doveva poi portar loro i cavalli, in caso di attacco.
Con riluttanza, annuì, prese le redini degli animali e si allontanò dal passo lungo il sentiero tra le rocce che portava alla spaccatura tra le due Pinze.
Ora li aspettava una arrampicata sulle rocce per il resto della giornata.
La compagnia era stanca di essere inseguita, di dover correre e nascondersi, di dover sfuggire alle imboscate, di perdere il sonno e delle lunghe ore di viaggio. Da più di una settimana non mangiavano regolarmente perché non erano loro giunti i previsti rifornimenti, ed erano stati costretti a nutrirsi di ciò che riuscivano a cacciare durante la fuga. Ed ora la strada si faceva in salita.
Dovettero superare una serie di pareti scoscese. Già nella prima (la meno impegnativa) Azael e Kyras scivolarono ferendosi, tanto che furono poi penalizzati anche nelle successive arrampicate (e lì capirono per quale motivo Preia e Obann avevano lasciato le armature sui cavalli).
La salita continuò faticosamente e dovettero pure fare a meno del rampino di Kinsom che andò perso quando Azael (nonostante avesse preso una pozione transmutagena) scivolò nuovamente perdendolo. Al tramonto giunsero all’imboccatura del passo esausti e si accamparono in un rado boschetto di ontani. Era freddo, lassù, ma non tanto. La roccia pareva conservare il calore della giornata, forse perché di lì si scendeva in una valle che si stendeva da est a ovest. Mangiato qualche boccone, ma ancora con una buona riserva d’acqua, si avvolsero nelle coperte e dormirono senza essere disturbati, stremati per la dura giornata.
10° GIORNO: IL SENTIERO TRA LE ROCCE FINO AL MASSICCIO SIMILE A DITA DI UNA MANO
All’alba si rimisero in marcia. Il sole illuminava il loro cammino sollevando lunghi pennacchi di nebbia.
Preia Starle li precedeva, esplorando il terreno a qualche centinaio di passi dal gruppo e avvertendoli degli ostacoli e dei sentieri praticabili. Quando uscirono dalla valle e si lasciarono alle spalle le due cime gemelle, si trovarono bloccati da un massiccio che pareva formato di grandi strati di roccia frantumati e raccolti dalle mani di un gigante. Ancora più avanti si levava la Catena di Confine: le sue cime spezzate, unite a casaccio dalle stesse mani di gigante in base a un criterio incomprensibile, parevano attendere che qualcuno venisse a rimetterle in ordine.
Azael e Kinsom trovarono a sinistra, ai piedi del massiccio, dopo quasi un miglio, un sentiero che saliva in mezzo alle rocce.
Si arrampicarono sulle rocce, evitando i crepacci che si aprivano improvvisi davanti a loro e cadevano a perpendicolo nell’ombra, tenendosi lontani dal ciglio dei precipizi e dalle salite ripide, perchè chi scivolava era perduto!.
In cima al massiccio trovarono una stretta gola serpeggiante, a malapena distinguibile dal terreno circostante, che scendeva verso una nuova parete di roccia. La percorsero con cautela, preceduti da Preia che passava agilmente dalle macchie di luce a quelle d’ombra, e un attimo era visibile e l’attimo successivo spariva. Quando la raggiunsero, era ferma all’uscita della gola e fissava i monti davanti a lei. Si voltò verso i compagni, e la sua eccitazione era perfettamente visibile. Indicò dinanzi a sé, e il gruppo scorse i pinnacoli di roccia che s’innalzavano ad angoli assurdi, circondati alla base da un’ampia distesa di rocce sgretolate dal tempo. Simili a dita strette insieme, serrate a formare un’unica massa.
Era il riferimento cercato, la parete di roccia che nascondeva al suo interno un castello dimenticato che custodiva la Pietra Nera.
Ma Kyras e Kinsom non poterono gioire con lei restando scioccati quando videro un puma che si stava gettando su di lei. Cercarono di avvisarla urlandole un avvertimento, ma l'elfa non fece in tempo ad evitare il leone di montagna che l'assaliva. Il puma le fu addosso avvinghiandola e i due ruzzolarono pericolosamente vicino al crepaccio. Preia era riuscita a sfoderare il coltello e colpiva ripetutamente il felino mentre Kinsom e gli altri correvano in suo aiuto. Ad un certo momento Preia, pur gravemente ferita, era riuscita a liberarsi, ma purtroppo sia Obann che Kinsom non riuscirono a colpire il Puma. Solo Azael lo ferì scagliando la sua lancia corta. Ma il puma, inferocito, si gettò nuovamente su Preia, straziandone le carni con zanne e unghie. In una disperata carica Obann si gettò nuovamente sulla bestia ferendola, ma il colpo la sbilanciò. Così l'animale precipitò nel crepaccio, portandosi dietro il corpo esanime di Preia, perdendosi nell'ombra.
Obann e Azael furono profondamente scossi da quanto accaduto, soprattutto l'elfo che rimase in preda al panico per il resto della giornata e della nottata.
Ma tutti fecero fatica a dormire quella notte...
11° GIORNO: RICERCA INFRUTTUOSA DEL PASSAGGIO: CRESCE L’IRRITAZIONE
A quel punto si trovarono in grave difficoltà. Bisognava trovare il passaggio tra le rocce che permettesse di accedere al castello ed avevano perso il loro cercatore migliore. Nella massa di rocce, macigni e lastre di pietra si scorgevano decine di aperture, che però non portavano da nessuna parte.
Lentamente, con scrupolo, esplorarono ogni passaggio, per trovare ogni volta una parete di roccia o un crepaccio che impediva di proseguire. La ricerca proseguì pe tutto il giorno, ma non trovarono nulla.
L’irritazione crebbe. Aver fatto tanta strada, a un costo così elevato, e trovarsi bloccati era insopportabile. Avevano la fastidiosa impressione che rimanesse poco tempo, che il pericolo si stesse avvicinando da est, con gli Hobgoblin che proseguivano la ricerca; la speranza perdeva attrattiva e subentrava la delusione.
12° GIORNO: INGRESSO ALLA “FAUCE MAGNA”
Anche se l’area era un vasto dedalo ne avevano setacciato gran parte e tutti avevano l’impressione che il castello doveva essere nascosto in qualche modo che non avevano preso in considerazione.
Kyras si alzò prima dell’alba e andò a guardare le grandi rocce frastagliate: un po’ per la frustrazione e un po’ perché sentiva il bisogno di studiarle in una condizione diversa dalle precedenti. Si sedette sotto un’alta rupe affacciata verso ovest e osservò le rocce illuminarsi progressivamente a causa della luce che giungeva da dietro le sue spalle, il grigio della notte trasformarsi nell’argento e nell’oro del nuovo giorno. Guardò i raggi scendere lungo il fianco dei monti e delle rupi come una macchia di vernice su un pannello di legno, facendo risaltare ogni particolare di ogni monte.
E a quel punto vide gli uccelli.
Erano grandi, spigolosi, bianchi: uccelli marini, a molte miglia dal più vicino corso d’acqua, e uscivano da una spaccatura della roccia, parecchie decine di braccia al di sopra della sua testa. Gli uccelli comparvero tutti insieme, almeno quindici o venti, e si allontanarono verso est, incontro al nuovo giorno. Che cosa ci facevano, si chiese subito Azael, tanti uccelli di mare fra quei monti brulli?
Impiegarono alcune ore per raggiungere la spaccatura da cui erano usciti gli uccelli. Non c’era un percorso diretto e il sentiero che furono costretti a seguire si snodava faticosamente sulla parete di roccia, costringendoli a innumerevoli giravolte oltre che a prestare la massima attenzione a dove mettevano i piedi.
Kinsom, che morta Preia ora guidava la salita, arrivò per primo e sparì all’interno della montagna.
Quando gli altri furono arrivati alla piccola sporgenza di roccia davanti all’apertura, il ranger era già di ritorno con la notizia che esisteva un passaggio.
Entrarono uno alla volta.
Poco dopo le pareti del passaggio cominciarono a stringersi, il calore del sole lasciò il posto all’ombra e all’umidità, la luce svanì. Presto anche la volta cominciò ad abbassarsi e la poca luce rimasta era quella che penetrava dalle fessure che si aprivano nella roccia ogni pochi passi.
I loro occhi si abituarono al buio e cominciarono a scoprire piume bianche, rametti e fili d’erba probabilmente trasportati dagli uccelli che volevano farsi il nido; i nidi stessi, naturalmente, dovevano trovarsi più avanti, dove c’era più luce e aria. Proseguirono.
Dopo qualche tempo, la galleria si abbassò ulteriormente e tutti furono costretti a chinare la testa. Poi incontrarono una biforcazione.
Kinsom disse loro di aspettare e si diresse a destra.
Tornò dopo parecchi minuti e indicò ai compagni l’altro passaggio. Nel frattempo, in mezzo alle piume degli uccelli, Azael trovò una Piuma Incantata (uccello).
Dopo un breve tratto, la volta si alzò e tutti poterono riprendere a camminare normalmente.
Davanti a loro, apparve la luce: l’uscita era vicina. Dopo una cinquantina di passi si trovarono all’aperto, in riva a un ampio lago. La sua presenza era così inattesa che tutti si fermarono a guardarsi attorno. Erano in un ampio cratere, e la superficie del lago era assolutamente immobile: non si scorgeva la minima onda. In alto, il cielo era del tutto privo di nuvole e la luce del sole riscaldava l’interno del cratere.
Le acque del lago riflettevano in tutti i particolari le pareti di roccia che le circondavano.
Kinsom osservò le pareti del cratere e scorse i nidi degli uccelli, nascosti tra le rocce. Nessun uccello era visibile. Entro la barriera di montagne e sulla piatta superficie del lago, nulla si muoveva: il silenzio era assoluto e fragile come vetro.
Avanzarono lungo la riva del lago. Il terreno era composto di frammenti di roccia e di grosse lastre di pietra, e lo scricchiolio dei loro stivali echeggiava sinistro nel silenzio: Kyras percepì che in quel luogo era attiva una potente magia, antica come il tempo e altrettanto radicata. Proteggeva il cratere e il suo contenuto.
Proseguirono lungo la sponda del lago, senza scorgere segni di vita e senza vedere altro che rocce e acqua. Il sole era salito al di sopra dei monti e splendeva a picco su di loro, bruciante in mezzo al cielo turchino. Non potevano alzare gli occhi senza rimanere abbagliati, ed erano costretti a guardare in terra. Fu allora, con l’avvicinarsi del mezzogiorno, che Kyras notò l’ombra.
Si era allontanato dalla riva ed era salito sulle rocce, per poter osservare la sponda opposta senza essere abbagliato dal riflesso del sole sull’acqua. Nel guardarsi attorno alla ricerca del punto d’osservazione più adatto, notò il modo in cui il sole proiettava l’ombra di una sporgenza rocciosa, attraverso tutto il lago, fino alla parete di fronte, a parecchie centinaia di passi da lui. L’ombra copriva tutta una striscia verticale di parete fino a una stretta apertura e lì si fermava. Qualcosa, al di sopra dell’apertura, attirò il suo sguardo.
Vi si recarono immediatamente.
Ciò che trovarono, scolpita nella roccia, era un’iscrizione.
Q ualche minuto più tardi, tutti guardavano in silenzio le parole incise in alto nella roccia. La scritta era antichissima, indecifrabile. I caratteri erano quelli degli Elfi, ma le parole erano sconosciute. La scritta, poi, era talmente consumata da risultare quasi illeggibile.
“QUESTA E’ LA FAUCE MAGNA. NOI VIVIAMO ANCORA. NON TOCCATE NULLA. NON RUBATE NULLA. LE NOSTRE RADICI SONO PROFONDE E ROBUSTE. ATTENTI!”
Sotto di essa un’apertura buia.
Dopo alcuni passi, l’apertura si allargò fino a divenire un corridoio, alto più di un uomo e largo a sufficienza perché vi si potesse camminare affiancati. Da questo si passava a una rampa di scale che scendeva verso un buio talmente fitto che non si riusciva a vedere dove portasse.
Scesi i primi scalini, Kinsom, che conosceva bene i dungeon, si mosse a tastoni e sentì sotto le dita, sulla parete, una piastra di metallo. Quando la toccò, la piastra s’illuminò di una pallida luce fredda e giallastra.
Il ranger fissò con sorpresa la piastra. La luce rivelò un’altra piastra, a qualche scalino di distanza, proprio ai margini della zona illuminata. Kinsom la raggiunse, vi posò la mano e anch’essa s’illuminò. Ora non restava che proseguire.
2 commenti:
Segnatevi sul groppone altri 340px (Mauro e Marco) e 370px (Viso): scalare bene paga!
Peccato per la povera Preia. Adesso vi dovrete ingegnare un pò di più.
Mi dispiace per il sottofondo musicale che è mancato (ah ciò...am sò smèngh!) ma sono stato molto contento del ritmo tenuto nelle 2h e 15" di gioco... e alle 23:45 ero a casa!!!!! :-) wonderfull!!!!
Non c'è niente da fare: un party snello viaggia con una marcia in più!
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