Da un bell'editoriale della Tana, dello storico utente Agzaroth.
Si stanno sostituendo ai giochi che conosciamo, li imitano, sembrano identici ma non lo sono. Ci conquisteranno tutti. Forse, lo hanno già fatto.
Nel giorno in cui mi trovo a premere il tasto “cancel pledge” su Nemesis, arrivano le foto dalla fiera di Norimberga. A Norimberga non si va per giocare, è una fiera più dedicata ad autori ed editori, in cui si presentano le novità (principalmente europee) per il nuovo anno e si stringono accordi commerciali.
Cosa collega le due cose, all'apparenza così antitetiche? Una molla di consapevolezza è scattata nel momento stesso in cui ho visto quelle foto, in particolare della versione per due di Patchwork, un gioco per due, come a dire la versione di dadi di un gioco di dadi. Assurdo, come se potesse mai esistere un The Castles of Burgundy: The Dice Game. O come se Lacerda facesse le versioni aggiornate dei suoi "vecchi" giochi. Vinhos 2, CO2 2, poi magari KanBan 2.
Non andavano bene i vecchi? Perché i casi sono due: o c'era qualcosa che non andava in quel game design e allora vanno aggiornati e corretti, o è una presa in giro. In entrambi i casi, un ottimo pretesto per vendere altre scatole, più colorate, più plasticose, più costose, anche a chi ha comprato le prime, magari prendendo pure un applauso.
Nei giorni in cui mi arriva Mythic Battles, devo decidere se pledgiare per Nemesis e Hate. Il secondo caso è in teoria più sofferto, perché il gioco sarà venduto solo tramite Kickstarter. In pratica ho già deciso, già quando ho scritto del Kickstarter 2.0: non finanzierò giochi distribuiti solo in questo modo. A meno che non siano dungeon crawler, naturalmente: tutti abbiamo i nostri punti deboli. Per Nemesis mi dà il colpo di grazia proprio Mythic Battles. E la notizia che Lords of Hellas sarà presto disponibile in italiano.
La teoria è che facendo il Kickstarter prendi più roba e spendi meno, con il superbundle comprensivo di tutte le espansioni. La realtà è che spendi di più rispetto alla scatola base e la scatola base è – o dovrebbe essere – tutto quello che ti serve per giocare. Hai meno varietà di truppe, mostri, ecc? Certo. Cosa effettivamente utile se quel gioco lo fai per almeno sei mesi, tutte le serate di gioco. Cosa che nessuno di noi fa più. La realtà è che hai solamente tante scatole in più da guardare, accatastate, inutili. Nemesis mi regala un'altra scatola di mostri, che non mi serve. Mi dà come addon un'altra scatola di altri mostri, che non mi serve. Elementi scenici, che non mi servono. Un libro esclusivo con l'artwork, che non mi serve. Un'altra espansione intera, con una seconda astronave, che non mi serve. Guardo Mythic Battles, guardo un mediocre gioco del 2012 che non si filava nessuno, fino a quando non ci hanno aggiunto miniature a vagonate e una roboante campagna di crowdfunding, guardo scatole aperte e subito richiuse, scenari appena scalfiti, tattiche abbozzate e mai approfondite, unità messe in tavola a malapena una volta e capisco che, per me personalmente, l'unica risposta a Nemesis è cancel pledge.
Ha ragione Mauro Di Marco: i bei giochi emergeranno comunque retail, dal calderone di Kickstarter, magari pure in italiano. Ok, non è sempre vero. Alcuni li rivenderanno sempre e solo col crowdfunding. Pazienza, anche i miei principi non sono ferrei ed assoluti, ci sono sopra anch'io al carrozzone dell'hype: se ne varrà davvero la pena, finanzierò alla seconda occasione. L'utilità di queste superproduzioni la ha solo chi rivende a prezzi gonfiati, perché dentro c'è qualche esclusiva Kickstarter. Ma qui non stiamo più parlando di bontà del gioco, ma di business. Business che ci riporta a Norimberga e alle immagini di seconde edizioni pimpate, di versioni alternative, di piccole e grandi espansioni, di riedizioni con virgole cambiate, di opzioni di gioco da aggiungere a piacere per accontentare tutti.
Finché la vacca ha latte, mungila. Il libero mercato, in cui domanda e offerta si autoregolano, è un'illusione, guarda caso raccontata da chi il libero mercato lo fa e ci mangia. Pensiamo davvero di avere piena libertà di scelta? Che hype o pubblicità o impatto estetico non abbiano un peso nei nostri carrelli? La necessità è creata artificialmente. Del resto non parliamo solo di editori che ci vivono, ma anche di autori ormai di mestiere, che ci campano. Possiamo davvero biasimarli? Chiaro che per mangiare, quei due o tre giochi all'anno li devi far uscire e come sono, sono.
È finito il tempo in cui i giochi duravano anni sulle tavole dei giocatori, in cui bilanciamento e longevità avevano il loro bel peso, in cui approfondire un titolo partita dopo partita. La vita media di un gioco è pochi mesi, conta la prima impressione. Sarà una bolla? Scoppierà? Finiremo tipo mercato immobiliare o - più verosimilmente - come i fumetti? Non ho la sfera di cristallo, ma dal canto mio cerco quantomeno di non soffiare più.
C'era una volta un gioco da tavolo, fatto da appassionati, per il puro piacere hobbystico di creare qualcosa di bello, rifinito nei minimi particolari, testato e bilanciato, messo sul mercato solo quando davvero pronto e perfetto, contenuto in un'unica scatola, al quale potevi fare mille partite senza mai stancarti, senza bisogno di altro se non pochi pezzi e un gioco, vero, sotto. Gli ultragiochi sembrano identici, persino migliori e più belli, a prima vista, pieni di espansioni e varianti e opzioni, rassicuranti, completi, familiari. Ma non lo sono: sono alieni senz'anima. Non è finita bene.
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