Il primo raggio di sole fece capolino attraverso la fessura lasciata dalle due persiane accostate e, solcando il pavimento in legno della camera, si fermò sulla sua gamba. Il calore sulla pelle lo fece trasalire costringendolo a riprendersi dai suoi pensieri. D’istinto si portò una mano davanti al volto e, come se infastidito da quell'invadenza improvvisa, socchiuse gli occhi e aggrottò la fronte, pronto ad accogliere l’incedere del nuovo giorno… un altro…caldo…giorno…di fine estate.
Da tempo aveva deciso che al
primo cambio di stagione sarebbe partito, e da giorni – che ormai avevano il
sapore di mesi – aveva dovuto rimandare a causa di quest’estate che sembrava
non volere finire mai. Per non parlare poi della grettezza e della noia che gli
trasmetteva questa città: priva di stimoli e di interessi, tanto da spingerlo
ad uscire sempre meno dalla sua stanza.
E pensare che non ci voleva
nemmeno venire in questo “pollaio di campagna”! maledetto il giorno in cui si
fece convincere da quei debosciati!
“Toc! Toc!”
Il bussare ala porte interruppe
la sua invettiva facendolo voltare di scatto verso l’uscio…
“La sua colazione, Sir Alfar”.
Passandosi la mano sulla fronte
per massaggiare le tempie, tornò a fissare il raggio di luce che ormai aveva raggiunto
la cintola della veste. “Lasciala pure lì, fuori dalla porta”: disse.
“Come desidera, signore”: rispose
la giovane voce della cameriera, subito accompagnata dal rumore dei passi che
si affrettavano a ridiscendere al piano terra della locanda.
Si alzò e iniziò a passeggiare
lungo la stanza ritornando inevitabilmente al groviglio dei suoi pensieri. Il
ritmo regolare dei passi sul pavimento lo rapì dal silenzio, immergendolo
nuovamente nelle sue riflessioni, finché voltandosi con le spalle alla porta, si
fermò ad osservare la camera. Guardò lo scrittoio sommerso da pergamene e fogli
su cui aveva annotato appunti, scritto incantesimi e abbozzato formule ancora
da ultimare; poi la finestra, le cui persiane, ora, trattenevano a stento
l’impeto del sole; il letto, ancora rifatto e con le lenzuola che chissà da
quanto tempo non aveva più sgualcito; e infine la grande cassapanca ai piedi di
quest’ultimo che custodiva i suoi abiti da viaggio…
D’improvviso realizzò che cosa
bisognava fare…il momento era giunto…bisognava partire!
Non aveva ancora finita la frase,
che già si era precipitato sullo scrittoio e le sue mani ordinavano
freneticamente i diversi rotoli e gli appunti. Toccò, poi, agli altri effetti
personali che, uno ad uno, trovarono facilmente il loro spazio nella borsa
conservante; così come la coperta, il sacco a pelo e tutto il necessario per il
viaggio, accuratamente riposti nello zaino; e infine lo sguardo cadde sul
fagotto in fondo alla cassapanca.
Resistere era inutile…lo sapeva
bene.
Così lo prese, si sedette sul
letto e appoggiandolo sulle ginocchia, lo scartò. Il grigio chiaro delle rune
brillò così tanto da fargli stringere gli occhi e distogliere lo sguardo.
Delicatamente accarezzò il morbido tessuto e, come ogni volta, un brivido
improvviso lo attraversò lungo la schiena e l’irresistibile desiderio di
indossarla lo assalì.
A stento riuscì a resistere…non
era questo il momento e neppure il posto adatti; ma presto il luogo e il tempo
sarebbero stati maturi e tutto avrebbe assunto il proprio significato…anche i
numerosi sogni – o visioni? – che orami in maniera continua affollavano le sue
ore notturne e impiegavano tutte quelle diurne per essere compresi. Bisognava
tornare al punto di partenza, da cui tutto aveva avuto origine…bisognava
tornare a Sud!
Non restava che rintracciare il
resto del gruppo…chiuse lo zaino e si fermò a fissare la parete…ma a che pro
portarseli dietro?!?
I “Detreitem”!
Un manipolo di sei avventurieri,
se così poteva definirli, a cui si era unito seguendo un volere davvero incomprensibile.
Neppure si ricordava il nome di tutti…
Matrix, lo scout, buono più a
rubare le galline da un pollaio che a fare altro; il mezzelfo mascherato e
l’elfo mentalista, più adatti a fare il domatore di animali e il cartomante in
un circo, piuttosto che dichiararsi usufruitori dell’Essenza; Allanon,
l’animista; Maverick, il mezzo nano, di nome e di fatto; e infine Bullvaif,
l’unico forse a meritare un po’ di considerazione, se non altro per le discrete
qualità atletiche e di combattimento dimostrate durante i giochi, o più
semplicemente perché anche lue r un Noldor.
La decisione fu semplice: si
sarebbe portato con sé solo Bullvaif. Gli sarebbe stato utile come guardia del
corpo e poi in due sarebbe stato più facile raggiungere il posto in cui dovevano
andare. Che cosa avrebbero fatto gli altri non gli importava nulla: che
seguissero pure le loro strade! Non nutriva nei loro confronti alcun tipo di
affetto o simpatia e sinceramente non sapeva neppure che fine avessero fatto. A pensarci bene non li considerava suoi
compagni.
Compagni…
La parola riecheggiò nella sua
mente come un colpo e subito il pensiero volò ai suoi veri compagni; e rivide i
loro volti, uno ad uno: Alan McBerson, Enola Gay, Luznelfo, Wolfango e Lendar
Diamondeyes. Per un attimo ritornò al tempo vissuto insieme e si scoprì a
pensare che gli sarebbe piaciuto tanto poterli rivedere; ma il destino aveva
tessuto trame ben diverse per loro, segnandone fin dalla nascita la via.
E lo stesso aveva fatto con la
sua. Ora più che mai, ne era consapevole!
Aprì la porta e scavalcò il
vassoio della colazione senza neppure guardarlo: doveva trovare Bullvaif. Dalle
notizie in suo possesso, sapeva che era ancora in città e alloggiava in una
locanda…si, ma quale? Si affrettò a scendere le scale…per fortuna Rolmarast era
“un pollaio di campagna” e le sue locande si contavano sulle dita di una mano…
Non sarebbe stato difficile trovarlo!
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