Da un articolo di Andrea Angiolino (storico game designer italiano, citato anche da Vanni Santoni nel suo ultimo libro) comparso su gioconomicon.net.
Heroquest
Heroquest, gioco da tavolo degli anni Ottanta,
rappresenta un mito per un’intera generazione. I giocatori sono avventurieri
che esplorano un sotterraneo in cerca di tesori, affrontando i mostri manovrati
da un Mentor.
Nel 1986 Stephen Baker è responsabile di un negozio della
Games Workshop, azienda specializzata in giochi di ruolo e miniature fantasy.
Il nome significa “laboratorio dei giochi”: un dipendente del colosso
multinazionale Milton Bradley (meglio nota col marchio MB) equivoca e telefona
chiedendo se fabbricano giochi in legno. Baker spiega come stanno le cose, ma
il tale cerca anche collaudatori di giochi e a fine telefonata Baker prende una
settimana di ferie per provare prototipi alla MB e dare consigli sui progetti
in corso. Al settimo giorno Baker viene assunto nel reparto Ricerca e Sviluppo.
Baker inizia a lavorare su giochi altrui: Misteries
of Old Peking, di Mary Danby, e Inkognito di Alex Randolph
e Leo Colovini. Passa tre giorni a Venezia per mettere a punto con questi
ultimi il sistema di gioco. Nel frattempo parla in azienda dei complessi giochi
fantasy per appassionati e mostra la sua collezione. Nasce l’idea di creare un
gioco con quel ricco immaginario, ma più semplice e alla portata di tutti.
Attingendo al Mondo Conosciuto che la Games Workshop ha sviluppato per Warhammer,
Baker sviluppa un primo prototipo che, in due o tre mesi di lavoro, riesce a
semplificare anche per ragazzini di dieci anni. L’influenza di Dungeons
& Dragons e degli altri giochi di ruolo si fa sentire: gli
avventurieri giocano tutti assieme contro un nemico comune. Se compiono le loro
missioni fanno esperienza, ritrovandosi più forti per le partite successive.
La complessità e la ricchezza dei materiali rendono
perplesso il marketing. A ogni riunione, Baker vede dipingersi il dubbio sul
volto degli interlocutori non appena apre il prototipo e inizia a comporre il
sotterraneo in cui si svolge l’avventura, affiancando i cartoncini quadrettati
che ne rappresentano corridoi e stanze. La pubblicazione è a rischio. Alla
vigilia dell’incontro decisivo Baker inventa un tabellone unico di cui usare
ogni volta settori diversi. Per chi gioca è un’astrazione inutile rispetto al
prototipo componibile, ma davanti a venditori distratti e poco interessati ai
dettagli del gioco è assai più efficace aprire un tradizionale tabellone e
iniziare subito a posarvi sopra i pezzi, come in qualsiasi altro gioco in scatola.
Il trucco vince ogni perplessità e si va in produzione.
Heroquest esce nel 1989 e diventa “Family Game
of the Year” nel Regno Unito, vendendo 126.000 copie in un anno. Man mano viene
pubblicato in tutti i paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti. Per
sfruttarne il successo, Baker sviluppa anche Starquest: tre squadre
di marines dello spazio ispirati a quelli di Warhammer 40.000, la
versione fantascientifica di Warhammer, devono esplorare un relitto
di astronave abitato da creature aliene. Forte del primo trionfo, stavolta
Baker si impone: niente tabellone unico, l’astronave si costruisce affiancando
i vari pezzi di cartone che ne rappresentano gli ambienti. Anche Starquest ha
successo e ne escono due espansioni, una dedicata agli elfi stellari e una ai
Dreadnought, terribili macchine da guerra. I giocatori devono attaccare la
fabbrica stessa che li produce: se i marines ne eliminano uno, il giocatore
alieno può usarne i pezzi per fabbricarne un altro. «Lo scenario è basato
sull’assedio di Stalingrado durante la seconda guerra mondiale», spiega lo
stesso Barker, «dove i tedeschi sono andati all’attacco di una fabbrica di
carri armati da cui continuavano a saltarne fuori sempre di nuovi».
Dopo la sua scomparsa dal mercato, i nostalgici
di Heroquest hanno continuato per decenni a giocare e a
espandere il loro titolo preferito con materiali fatti in casa. Nel 2013 la
GameZone, piccolo produttore spagnolo di miniature, sfrutta la loro passione
lanciando un Heroquest 25° Anniversario sulle piattaforme di
crowdfunding, cioè di finanziamento dei progetti da parte del pubblico. Al
grido di “ora o mai più” non chiede licenze all’autore né all’editore, con la
scusa che non basta il tempo se si vuole avere il gioco entro la ricorrenza.
Per queste irregolarità il progetto viene sospeso da ben due piattaforme di
crowdfunding, ma ne trova una terza e raccoglie ben 680.037 euro contro i
58.000 cui puntava la GameZone. Quest'estate siamo ormai al ventottesimo
anniversario di Heroquest e gli speranzosi sottoscrittori del
progetto non hanno ancora ricevuto nulla. Intanto sono trascorsi diversi anni,
che sarebbero bastati a chiedere regolari licenze.
Nessun commento:
Posta un commento