mercoledì 2 dicembre 2020
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mercoledì 11 novembre 2020
Tales from the Loop
Da Tom's Show
Tales from the Loop è un gioco di
ruolo “carta e penna” pubblicato dalla casa editrice svedese Free League
Publishing (conosciuta in patria come Fria Ligan) e basato sulle opere d’arte e
l’omonimo artbook (pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo di Loop e di
cui potete leggere la nostra recensione) del celebre artista svedese Simon
Stålenhag, da cui è stata tratta anche la fortunata serie tv targata Amazon
Prime Video.
Ambientato principalmente negli
anni Ottanta di un’ucronica Svezia, in Tales from the Loop i giocatori
interpretano dei ragazzini di età compresa tra i dieci e i quindici anni, che
vivranno avventure ai limiti del possibile in un mondo costellato di rugginosi
robot, incredibili e misteriosi macchinari e scienza rivoluzionaria. Questo
emozionante gioco di ruolo rievoca le atmosfere tipiche delle classiche
pellicole per ragazzi dell’epoca, come I Goonies, Stand by Me – Ricordo di
un’estate, E.T. – L’Extra-Terrestre e Wargames – Giochi di guerra, o della
moderna serie tv Stranger Things, che proprio negli anni Ottanta è ambientata.
Nel 2017, anno di uscita del
gioco, Tales from the Loop si è aggiudicato una gran quantità di premi agli
ENnie Awards, vincendo l’oro nelle categorie Best Art Interior, Best Game, Best
Setting, Best Writing, Product of the Year.
Tales from the Loop, l’ambientazione
Sin dalle prime pagine, il
manuale di Tales from the Loop si immerge nella finzione ucronica, raccontando
ai giocatori i fatti che diedero vita all’importante sviluppo tecnologico
rappresentato nei dipinti digitali di Simon Stålenhag e che fanno da base al
gioco.
Dopo il termine della Seconda
guerra mondiale, l’avvento dell’energia nucleare aveva portato con sé un
sostanziale mutamento nella società, che si era esplicitato in un importante
incremento degli studi e degli investimenti sulla fisica e lo sviluppo
tecnologico. La scoperta, in Unione Sovietica, dell’effetto magnetrine aveva
permesso la nascita delle portentose navi magnetiche, in grado di fluttuare
nell’aere, e aveva del tutto rivoluzionato il settore dei trasporti,
dimostrando quali frutti era possibile ottenere investendo sulla ricerca
scientifica.
Fu così che negli anni Cinquanta
gli Stati Uniti d’America costruirono il primo acceleratore di particelle
nell’area di Boulder City, nello stato del Nevada. Tra il 1954 e il 1969 il
governo svedese fece a sua volta costruire, nella zona della campagna lungo le
isole del lago Mälaren, il più grande acceleratore di particelle del mondo, un’enorme
struttura circolare sotterranea, estesa per decine di chilometri nelle
profondità della terra. La gente del posto chiamò questo portento della
tecnologia “il Loop”.
Loop
Vent’anni dopo, la vita
quotidiana di un gruppo di ragazzini, interpretati dai personaggi, scorre sullo
sfondo di immense costruzioni industriali, avveniristiche e desuete allo stesso
tempo, tra vecchie Volvo station-wagon e goffi robot artropodi, sterminati
macchinari dismessi e misteriose sfere di metallo arrugginito: malinconia e tecnologia.
Ed è in questa bizzarra quotidianità che i personaggi si muoveranno,
investigando su bizzarri misteri che attireranno la loro curiosità e li
metteranno di fronte a sfide e problemi all’apparenza insormontabili e da cui
se la caveranno per il rotto della cuffia.
Il tono del gioco è ben chiaro
sin da subito dal capitolo introduttivo, che delinea sei presupposti dai quali
è impossibile staccarsi, per godere del gioco:
- · la città natale dei personaggi è piena di cose strane e fantastiche;
- · la vita di tutti i giorni è noiosa e spietata;
- · gli adulti sono distanti, fuori portata e per certi versi, fuori dal mondo;
- · il territorio del Loop è pericoloso, ma i bambini impersonati dai giocatori non potranno morire;
- · il gioco è giocato scena per scena;
- · il mondo è descritto in modo collaborativo.
In altre parole, ci saranno
storie di robot pensanti, portali temporali, furti di identità, esperimenti
bizzarri e chi più ne ha, più ne metta, tutti percepiti con l’eccitazione di un
bambino per il quale sgattaiolare fuori di notte per andare in bicicletta al
cimitero locale con gli amici è la cosa più bella ed emozionante di sempre.
Il Master potrà dunque impostare
alcune scene, chiedere ai giocatori di impostarne altre, dare loro libertà
assoluta nella descrizione di luoghi e PNG (Personaggi Non Giocanti),
attraverso un approccio che comprende molte domande a cui i giocatori stessi
risponderanno.
Il Loop svedese
“La presenza del Loop si
avvertiva ovunque nelle isole Mälaren. I nostri genitori lavoravano lì. “I
veicoli di servizio della Riksenergi pattugliavano le strade e lo spazio aereo.
Macchinari bizzarri si muovevano nei boschi, nelle radure e nei prati. L’energia
prodotta là sotto emetteva delle vibrazioni che, attraverso le rocce ignee
passando per i mattoni e le lastre di Eternit, giungevano nel nostro soggiorno.
Il paesaggio era pieno di apparecchiature e rottami collegati, in un
modo o nell’altro, all’impianto. Nell’orizzonte del Mälaren, Si stagliavano le
onnipresenti torri di raffreddamento del reattore di Bona con le loro luci di
segnalazione. Appoggiando l’orecchio alle rocce ignee si poteva sentire il
battito cardiaco del Loop: il ronzio del Gravitron, L’elemento centrale di
quella stregoneria ingegneristica e nucleo degli esperimenti del Loop. La
struttura era la più grande al mondo nel suo genere e si diceva che con le sue
sole forze fosse in grado di curvare lo spazio-tempo.”
I giocatori si ritroveranno,
quindi, in un una Svezia degli anni Ottanta altamente tecnologica, decadente e
misteriosa, costellata da costruzioni gargantuesche e abitata da robot, animali
cibernetici e persino dinosauri, emersi dalle pieghe dello spazio-tempo a causa
degli esperimenti del Loop. E ci saranno anche storie ben più strane, accadute
a causa dell’influenza del Loop.
Il manuale di Tales from the Loop
descrive con dovizia di particolari questa Svezia retrofuturista, andando a
indulgere con affetto e nostalgia nel raccontare com’era il Paese e com’era
viverci negli anni Ottanta, in piena guerra fredda.
Tales from the Loop, i ragazzini
In Tales from the Loop, i
protagonisti delle avventure, chiamate Misteri nel gioco, sono dei ragazzini la
cui età varia dai dieci ai quindici anni.
Sono otto le tipologie di
personaggio tra cui scegliere, l’equivalente delle classi o delle professioni
in altri giochi di ruolo, e vanno dal Topo di biblioteca al Tipo strambo,
passando per il Fanatico del computer, il Campagnolo, lo Sportivo, la Ragazza
popolare, il Rocker e il Piantagrane. Ogni categoria di personaggio è
ovviamente dotata di alcune peculiarità che la differenzieranno dalle altre.
I personaggi sono contraddistinti
da quattro Attributi (Corpo,
Tecnologia, Cuore e Mente) a cui i giocatori dovranno distribuire un totale di
punti pari all’età scelta per il proprio ragazzino, assegnando valori che vanno
da uno a cinque. Più saranno grandi, quindi, più punti avranno da distribuire.
Per bilanciare questa disparità, entrano in gioco i punti Fortuna, che
saranno un aiuto cruciale durante il gioco: più il ragazzino sarà grande, meno
sarà la fortuna a disposizione. Da ogni attributo derivano poi quattro Abilità,
a cui andranno distribuiti altri punti.
I ragazzini iniziano il gioco con
degli oggetti iconici che forniscono
dadi bonus nelle situazioni difficili in cui possono essere utilizzati. Il Tipo
strambo, per esempio, può scegliere tra un rasoio, un blocco da disegno o un
topo da compagnia, mentre il Piantagrane potrebbe avere accendino e sigarette,
un coltello o uno skateboard. Se a un giocatore non dovessero piacere gli
oggetti presentati dal manuale, può sceglierne uno proprio, che abbia attinenza
con il tipo di personaggio.
Essere un ragazzino è tutt’altro
che facile! Ogni ragazzino ha un qualche problema, che alla sua età sembra
insormontabile, e i protagonisti di Tales from the Loop non fanno eccezione. I problemi tra cui dovranno scegliere
comprenderanno cose come genitori che stanno divorziando, un amore non
corrisposto o essere vittima di bullismo. Ancora una volta, se al giocatore non
piacciono quelli offerti, può crearsene da solo.
Un altro aspetto che caratterizza
i personaggi, è il motivo che lo
spinge ad andare là fuori a risolvere misteri. Forse è troppo curioso o è
amante del brivido… L’orgoglio,
d’altra parte, è ciò che fa sentire un ragazzino forte e importante. Forse è il
migliore della classe in matematica, ha tenuto testa a un insegnate o magari
batte tutti in qualunque sport. Il Master dovrebbe tenerne sempre conto e
utilizzarlo per causare problemi al ragazzino, mentre il giocatore dovrebbe
usarlo per uscirne. L’orgoglio, infatti, se il giocatore è in grado di narrare
come questo aspetto aiuti il suo personaggio, può fornire dei successi
automatici quando si dovrà tirare i dadi per uscire da una situazione
d’impiccio.
L’ancora, infine, è una persona a cui i ragazzini si rivolgono quando
hanno bisogno di supporto e assistenza. Le ancore possono curare le condizioni
di un ragazzino, come ad esempio Turbato, Spaventato, Esausto e Ferito, che
influiscono negativamente sulle prestazioni del personaggio nel gioco.
Una nota di colore, che non va a
influire sul gioco, è che in fase di creazione del personaggio viene chiesto ai
giocatori di scegliere una canzone degli
anni Ottanta che sia la preferita del ragazzino.
Il sistema di gioco
Tales from the Loop utilizza il
motore di gioco Year Zero Engine, sviluppato da Free League Publishing e che
viene utilizzato nella stragrande maggioranza dei propri giochi di ruolo.
Il gioco, che alterna scene
legate al mistero da svelare ad altre di vita quotidiana, fatta di scuola,
bullismo, e genitori assenti, ma anche di gite in bicicletta, riunioni al
nascondiglio del gruppo e tuffi in piscina, prevede che il Master presenti ai
personaggi tutta una serie di problemi, di vita o di mistero, cui dovranno
confrontarsi e cercare di superare. Se non affrontati con successo, i problemi
possono causare una condizione negativa (Turbato, Spaventato, Esausto e
Ferito).
Quando un giocatore dovrà far
eseguire un’azione al proprio personaggio, dovrà tirare un ammontare di dadi a
sei facce dato dalla somma del punteggio dell’abilità che entra in gioco, più
il punteggio dell’attributo che la governa. Ogni sei ottenuto è un successo.
Nella maggior parte dei casi è sufficiente un solo successo, a meno che i
ragazzini non tentino azioni estremamente difficili o quasi impossibili.
Ottenere più successi del necessario può far applicare all’azione alcuni
effetti bonus, come, ad esempio, portare a termine un compito in minor tempo
rispetto al solito.
Gli oggetti e l’orgoglio possono
aggiungere dadi alla riserva da tirare, mentre spendendo un punto fortuna è
possibile ritirare i dadi che non hanno ottenuto un sei. Ciò è possibile farlo
anche forzando il tiro, cosa che però farà acquisire al ragazzino una
condizione appropriata alla situazione.
Tales from the Loop, i misteri
Il manuale di Tales from the Loop
fornisce ai Master anche tutta una serie di informazioni su come progettare e
condurre i misteri, le avventure che i ragazzini dovranno intrepidamente
affrontare. Esistono sostanzialmente tre categorie di misteri, ciascuno con
molti esempi diversi riportati nel manuale: errore umano, conflitto e
monelleria.
Un mistero si gioca in sei fasi. In primo luogo, ogni ragazzino ottiene una scena di vita quotidiana tutta sua, senza alcun problema, che funga da preludio. Viene quindi introdotto Il mistero, con i ragazzini che lo studiano. Questo è il nocciolo dell’avventura, i personaggi visiteranno luoghi, incontreranno PNG, scopriranno indizi e supereranno problemi, gestendo allo stesso tempo la vita di tutti i giorni.
Una volta che il mistero sarà
stato svelato, i ragazzini dovranno interrompere ciò che di strano sta
accadendo. All’indomani della risoluzione, ogni personaggio svolge una scena
dalla vita quotidiana, in cui tutto torna alla normalità e alla noia di sempre,
come se nulla fosse accaduto. Ultimo, ma non meno importante, i ragazzini
ottengono dei punti esperienza che possono utilizzare per migliorare i punteggi
delle proprie abilità.
Mystery Landscape
Tales from the Loop presenta
anche un altro modo di approcciarsi ai misteri, definito Mystery Landscape. Si
tratta sostanzialmente di una struttura di gioco sandbox che si appoggia
sull’ambientazione e le relative mappe (quella del territorio svedese e quella
statunitense) per creare un territorio ricco di luoghi e personaggi in cui i
ragazzini sono liberi di vagare, senza una trama specifica definita a priori,
per cercare da sé le anomalie su cui indagare.
I luoghi misteriosi saranno in
qualche modo legati ai personaggi grazie a vicende e relazioni che fanno parte
del loro background, risultando quindi affascinanti. Il manuale fornisce una
grande quantità di esempi, così da aiutare i Master alle prime armi a muovere i
primi passi in questo genere diverso di concepire le avventure.
Quattro stagioni di scienza folle
Il manuale di Tales from the Loop
si conclude quindi con ben quattro avventure, una per ogni stagione dell’anno,
che potranno essere intavolate come storie a sé o legate insieme in un’unica
campagna che avrà nella scienza il suo tema trainante. Ovviamente quel tipo di
scienza ai confini della realtà che solo il Loop può contribuire a creare.
Ognuna di queste avventure avrà
una durata e una complessità crescente e tutte sono state ideate per
accompagnare i Master nel mondo di Tales from the Loop, fornendo esempi e
insegnando loro come strutturare e condurre un mistero.
Conclusioni
Iniziamo subito col dire una cosa
a nostro avviso fondamentale: sfogliare, leggere e infine giocare a Tales from
the Loop significa fare un tuffo nel passato e ritrovarsi d’un tratto, in tutto
e per tutto, negli anni Ottanta del secolo scorso.
L’arte di Simon Stålenhag è di
sicuro un motore che spinge fortissimo nel farci tornare indietro nel tempo,
grazie a tutta una serie di veicoli, edifici e paesaggi che richiamano
quell’epoca di quarant’anni fa che ha segnato la nostra storia. Anche i mezzi
più tecnologici e futuristici hanno il design tipico di quegli anni e pertanto
non risultano mai fuori posto, bensì integrati in ogni immagine.
Ma non è solo l’arte che
contribuisce all’atmosfera dell’ambientazione. Sono anche le informazioni
fornite qua e là nel manuale oltre a quanto riportato nel testo vero e proprio:
elenchi di film dell’epoca, di canzoni e video musicali e finanche dei giochi
di ruolo che negli anni Ottanta andavano più di moda. Non si può creare un
gioco di ruolo più suggestivo di così. È impossibile.
Il regolamento svolge alla
perfezione il suo ruolo, accompagnando il fluire del gioco senza appesantirlo e
senza ostacolarne in alcun modo lo svolgimento. È semplicissimo e scarno al
midollo, senza per questo essere privo di identità e profondità.
Tuttavia, a nostro avviso, Tales
from the Loop non è un gioco per tutti. Il periodo storico in cui svolge e il
modo in cui entra nel gioco fa sì che sia estremamente difficile per un
giocatore che non abbia vissuto quel periodo riuscire a coglierne davvero gli aspetti
e riportarli in gioco. Soprattutto perché il sistema prevede che i giocatori
debbano essere seriamente coinvolti nella creazione del mondo, oltre a
esplorare le sfaccettature della personalità del ragazzino che desiderano
impersonare.
Un gioco rivolto a…
Tales from the Loop è un gioco di ruolo che si rivolge principalmente a tutti quei giocatori che hanno vissuto gli anni Ottanta in prima persona, a quella generazione di quarantenni che all’epoca erano bambini e ragazzini con le ginocchia sbucciate e con le orecchie coperte dalla spugnetta delle cuffie di un Walkman mangiacassette.
lunedì 12 ottobre 2020
Astatosta
venerdì 9 ottobre 2020
CASI IRRISOLTI
Eccoci alla fine di una nuova bella avventura di Cthulhu, che come solito mi è piaciuta tantissimo da masterizzare.
I nostri investigatori sono arrivati finalmente a capire dove si trovava la fonte delle stranezze di Blackwater: risalendo il fiume dalle torbide acque e dalle strane macchie bianche, il gruppo ha da prima incontrato un folle dottor Roades che scappava verso la montagna, in seguito, dopo un violento scontro a fuoco con civili riconosciuti come i Carmody, finalmente ha raggiunto un'apertura da cui scaturiva una lingua di acqua nera....
La grotta si apriva sopra una ripida salita di rocce, difficili da scalare perchè friabili; Philippe che aveva seguito per primo il professore folle, è il primo ad arrampicarsi verso la base della grotta. Anche gli altri investigatori tentano di scalare le rocce verso l'apertura, quando da est sbuca una figura orrenda, contorta e caprina, ovvero l'ultimo ed il più corrotto dei Carmody, che con urla sconfusionate investe Nathan, John e Rostov con sciami di api e topi.
Intanto, davanti alla grotta, Philippe trova una vasta pozza d'acqua scusa che non si fida di attraversare, e quindi tenta inutilmente per diversi minuti di seguire il bordo della "vasca" per arrivare all'apertura della grotta senza toccare l'acqua. Non arriva fino in fondo, ma nota una scatola con dinamite. In quel momento arriva John, che riesce ad impadronirsi delle scatola e controlla la dinamite, con l'intenzione di far esplodere la grotta. Tutto ciò, mentre giù, i due investigatori incominciano a sparare al Carmody con tutte le armi a disposizione. All'improvviso, tutto precipita: Philippe cercando di salvare il professore Roades, il quale si era intrufolato nell'apertura, entra anch'egli nella grotta ma ciò che vede lo fa uscire di senno. Philippe urla di dolore ed inizia a sbraitare formule in latino, poi incautamente spara contro la dinamite. La detonazione fa saltare in aria il povero sventurato, e fa crollare parte della grotta; l'apertura viene poi sigillata con la dinamite rimanente, che John saggiamente si era portato via.Gli investigatori superstiti quindi, malconci e feriti, vedono Brendan Carmody morire in mare di sangue nero e l'apertura mostruosa chiudersi...ma sarà bastato per fermare l'orrore?
lunedì 5 ottobre 2020
Vecchio gioco, nuovo vestito. Ne varrà la pena?
Sempre da Tom's Show la presentazione del nuovo HeroQuest della Hasbro.
HeroQuest è tornato: alle 18:00 di oggi (22 settembre) il conto alla rovescia apparso sul nuovo sito del gioco ha svelato la tanto attesa novella: il ritorno dello storico gioco da tavolo RPG.
HeroQuest la nuova edizione
La notizia in realtà non era certo passata inosservata, Hasbro e Avalon Hill avevano infatti polarizzato l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo con un misterioso e sibillino conto alla rovescia sovrastato dalla frase “The Quest is calling” (La Quest sta chiamando). In questi 10 giorni i fan di questo gioco in scatola hanno fantasticato sull’annuncio e su una possibile nuova edizione di HeroQuest.
HeroQuest: la campagna Crowdfunding
Finalmente la notizia è stata confermata ed HeroQuest sta tornando con una nuova edizione del celebre gioco da tavola. Questa nuova versione, però, includerà due fasce di prezzo durante la campagna di Crowdfunding. Il livello Heroic da 99,99 dollari verrà di 71 miniature, un tabellone di gioco e lo schermo di un game master. Conterrà più di 90 carte e sei dadi personalizzati. Avrà anche un blocco di tradizionali fogli di carta dei personaggi, che consentiranno di nominare gli eroi e tenere traccia dei loro punti ferita e del bottino. Inoltre conterrà quattro sculture di eroi e una miniatura esclusiva, Sir Ragnar, insieme all’oggetto di una delle prime missioni del gioco originale che sarà disponibile solo durante questa campagna di Crowdfunding.
HeroQuest: quanto costa?
Il livello Mitico da 149,99 euro includerà tutto quanto sopra, oltre a nuove versioni di due rari pacchetti di espansione, Return of the Witch Lord e Kellar’s Keep. Conterrà anche due miniature esclusive: il leader Mentor e il malvagio Signore degli Stregoni.
La campagna di Crowdfunding è iniziata già oggi sul sito ufficiale di Hasbro e durerà fino al 6 novembre. Se verrà raggiunto l’obiettivo di un milione di dollari, il gioco potrebbe arrivare nei negozi già alla fine del 2021.
La nota dolente è che la campagna di crowdfunding è disponibile solo per il territorio statunitense e canadese, quindi se non si hanno amici e parenti residenti in quei Paesi non sarà possibile per il resto del mondo finanziare questo progetto. Siamo comunque piuttosto sicuri che non mancherà, in un futuro piuttosto vicino, una localizzazione italiana del titolo.
HeroQuest dentro la scatola
Questo annuncio rappresenta un nuovo capitolo nella storia di HeroQuest. Questo storico gioco da tavolo è stato creato nel 1989 da una collaborazione tra Milton Bradley Company e Games Workshop. Il gioco era contraddistinto dall’ambientazione Warhammer Fantasy e adattava alcuni degli elementi classici dei giochi di ruolo fantasy, tra i quali la presenza di un master (chiamato “Morcar” nella versione europea), il cui ruolo era quello di creare il dungeon.
Per offrire un’esperienza sempre diversa il gioco era ricco di componenti come tasselli, elementi di arredo, porte e mostri, che avrebbero composto di volta in volta scenari diversi sul tabellone di gioco.
Entrato di diritto nell’immaginario pop anni ‘80 HeroQuest è ormai un gioco di culto, che grazie a questa nuova edizione raggiungerà giocatori vecchi e nuovi conducendoli nel cuore dell’avventura.
lunedì 28 settembre 2020
Bentornato HeroQuest!
Da un completissimo articolo di Japo Orbo su Tom's Show che ripercorre storia e fortune de Lo Re (nonstante qualche errore da non HeroNerd...).
Heroquest: un’avventura senza fine
Heroquest è una pietra miliare del genere dungeon crawler. Ideato da Stephen Baker, Heroquest porta nel mercato di largo consumo dedicato ai giochi, in tempi non sospetti dato che correva il 1989, un titolo da negozio specializzato, un po’ Dungeons & Dragons e un po’ Warhammer quando ancora i wargames e le miniature (in piombo) erano appannaggio solo di una ristretta cerchia di appassionati. La partnership coraggiosa fra Games Worshop (GW) e Milton Bradley (MB) è l’occasione per la prima di far conoscere il proprio universo fantasy e le proprie miniature al di fuori delle fiere di settore (o dei negozi specializzati), per la seconda di offrire un gioco da tavolo finalmente innovativo, dai contenuti sontuosi, in grado di affascinare, come poi fu dimostrato dai fatti, centinaia di migliaia di ragazzini. Tutt’oggi è possibile comprendere l’impatto sui ragazzi degli anni ’80 della scatola nera, con l’iconico logo e l’illustrazione del Barbaro in posizione prona, spada sventolante, disegnata in modo realistico e maturo da Les Edwards. Rispetto alla confezione bianca e rossa del Monopoli la Milton Bradley (MB) aveva fatto un passo da gigante. Heroquest ad oggi è un pezzo da collezione. Per trovarlo è necessario armarsi di pazienza e denaro e sfogliare le numerose ed incredibili proposte su Ebay (Vi proponiamo il link ad alcune vendite online)
L’avventura entra in casa grazie allo spot
Il commercial televisivo decretò il successo di Heroquest ancorché il passaparola fra gli appassionati. Per i teenagers di quegli anni, senza internet è bene ricordarlo, la pubblicità, le immagini, la voce fuori campo “labirinti impenetrabili, tranelli, trabocchetti… incantesimi”, e uno dei giocatori attorno al tavolo che si rivelava essere un orchetto, fu un colpo al cuore: che gioco sarebbe mai stato questo Heroquest? Quali meravigliose avventure prometteva? A sorpresa a differenza di altri titoli esaltati dalla pubblicità e alla prova più o meno deludenti (Atmosfear ad esempio) Heroquest confermò le alte aspettative che aveva creato nel cuore dei giovani dell’epoca.
Innovativo e inaspettato
L’acquisto, pagato 45.000 lire (se si era stati fortunati) non deluse le aspettative. La componentistica in plastica era superba, le miniature dettagliate, la componentistica ricca e sontuosa soprattutto se paragonata agli standard di quegli anni (ma in grado di surclassare anche alcune produzioni moderne). Le regole erano forse difficile da masticare per gli allora ragazzini di dieci e undici anni, cresciuti (o prossimi a crescere) con i film di Spielberg, ignari della Scatola Rossa di D&D, affascinati dalla “Storia Ancestrale” in edicola. I più fortunati avevano già letto lo Hobbit e forse le Dragonlance e ritrovavano tutta l’atmosfera dei loro libri preferiti in quella rettangolare e piatta scatola nera.
Sandbox ruling
Ben presto i ragazzini si accorsero che il gioco nella versione europea (se usavano le regole giuste) poteva essere fin troppo facile e che i mostri venivano falciati dai quattro impavidi eroi (il Barbaro, l’Elfo, il Nano e il Mago, così senza nome, veri e propri archetipi delle classi fantasy) come grano maturo. E allora il vicino di casa che si invidiava perché lui Heroquest aveva persino provato a dipingerlo (si tornerà su questo tema più sotto) beh quel vicino sentenziava con sguardo malvagio: “gli orchi di questa avventura hanno sei punti corpo” anticipando de facto l’esperienza frustrante del Barbarian Pack “The Frozen Horror”. Grondando il sangue degli avventurieri così sventrati nasceva il concetto di sandboxing. Heroquest è bello per molte cose, per l’estetica anni ottanta, per i mobili in cartone e plastica sempre invidiati ma mai più replicati (per misteriosi motivi), per le miniature essenziali ma piene di flavor e soprattutto per il fatto che fosse potenzialmente (ed infinitamente) espandibile. A partire dalle quest.
Avventure infinite
Dieci quest attendono gli eroi. Per timore che il titolo fosse accusato di scarsa ri-giocabilità, MB ha previsto che le successive avventure potessero essere inventate dai proprietari del gioco, fornendo al centro del libro delle missioni una mappa vuota con i simboli necessari (mostri, porte, trappole etc) per creare le proprie avventure. L’iniziativa ebbe talmente successo che una delle espansioni del gioco è dedicata solo a questo aspetto (il terribile “adventure design kit” si veda dopo) in un’epoca dove photoshop era appannaggio dei soli editori. Purtroppo nel gioco base nessun suggerimento era stato speso per il bilanciamento delle avventure auto-prodotte (a dire il vero anche il bilanciamento di quelle ufficiali a volte lasciava un po’ a desiderare) e equilibrare l’avventura era appannaggio esclusivo del proprietario del gioco che per molto motivi (fra cui il possesso) spesso assurgeva al ruolo di master o più propriamente “tiranno sanguinario”.
Morkar il benevolo malvagio
Heroquest è asimmetrico: è un gioco da tavolo con un giocatore che veste i panni di Morkar che si diverte meno (o di più?) degli altri avventurieri, che “apparecchia” la partita, che muove i mostri. Il master è la croce o delizia per gli amanti del genere. Per chi gioca ai GDR vecchio stampo è un ruolo immediato e piacevole che in fin dei conti nobilita il player: Morkar deve far divertire il party e alla fine diventa il coautore delle avventure. Se serve aggiunge un mostro, ne cancella un altro, insomma si prodiga perché l‘avventura continui. Nascostamente il vero master di Heroquest parteggia per i giocatori, come suggerito in D&D. A volte.
Più spesso e a dodici anni di età Morkar era un pazzo sanguinario che segnava sul retro del tabellone gli avventurieri uccisi: una tacca era un morto e lui lo possiede ancora quel tabellone, pieno di tacche che neppure la cella di Cagliostro, invendibile trofeo degli amici calpestati grazie al potere del master. Molti dungeon crawlers oggi cercano di ovviare al concetto del master (IA o programmi online) dimenticando che i veri giocatori/eroi degli anni ottanta sanno che nessuna applicazione o IA può essere tanto intelligente da sostituire il sudore freddo che ti riempiva la schiena quando Morkar vestiva i panni di un ragazzino con gli occhiali e l’apparecchio. Un ragazzino ghignante. [Viso non aveva nè occhiali nè apparecchio, ma era spietato lo stesso! ndr]
Nostalgia a bizzeffe
Heroquest ha degli indubbi vantaggi: è un gioco con ottime miniature, in cui si esplora (e arreda) progressivamente un dungeon sotterraneo: trappole, scale a spirale, mobilia, porte aperte e chiuse… Le regole sono semplici ed intuitive. Nel tempo è diventato iconico, così come iconici sono i suoi dadi (teschio, scudo bianco e scudo nero). Per molti ragazzi è stato introduttivo ai giochi da tavolo, alla letteratura fantasy, ai libri di Tolkien (dalla cui ambientazione la Games Workshop aveva sempre attinto a piene mani), ai wargames, ai librigame, ai giochi di ruolo (rpg), ai giochi di carte collezionabili (MTG) a volte a tutti questi insieme. [Eh già...ndr]
Heroquest era il titolo dell’estate del ‘90 e del ‘91 quando si aveva ancora tempo per giocare e ogni volta che si apriva la scatola si sentiva l’odore dell’avventura e delle infine possibilità dei dodici anni. Heroquest è lo “stand by me” dei giochi da tavolo e per questo è stato emulato, copiato e riadattato.
Design
Le illustrazioni, la grafica delle carte e del tabellone, persino le texture hanno un gusto heroic fantasy, sword & sorcery tipico degli anni ottanta. Rispetto alla fantasy moderna Heroquest è molto meno digitale, videogiocoso, 3D o mangastyle. Sul tabellone ci sono le macchie di sangue dei mostri uccisi e nel mobilio spicca il tavolo di tortura. Fantastico. Il fantasy di Heroquest era cupo e serio, esattamente l’opposto del puccioso e colorato fantasy adottato ad esempio da Dungeons and Dragons the boardgames (edito dalla Hasbro).
Non è tutto oro quello che…
Ovviamente Heroquest non è perfetto e presenta dei piccoli/grandi bug e incongruenze tipici dell’epoca e/o di una cura saltuaria nella realizzazione. Fa piacere elencarli qui di seguito, anche differenziando le diverse edizioni e rarità.
1) Preparare i mobili e staccare dagli “sprue” le miniature: impresa ardua per un ragazzino che non possiede un cutter o non ha mai fatto modellismo. Spesso i piccoli pezzi dell’assemblaggio venivano persi o rotti in partenza. Tipici esempi sono le fiamme dei due candelabri (trovarle intatte in un Heroquest usato significa avere un grande colpo di fortuna) o le maledette code dei topi che solo a guardarle si spaccavano.
2) Nella prima edizione la prima quest “il labirinto” era davvero semplice (e noiosa) per questo forse venne sostituita con “la prova” che invece era assolutamente troppo difficile per un party alle prime armi.
3) I punti mente non avevano reale utilità e trovarono il loro impiego (saltuario) solo nelle espansioni.
4) Alcune carte mancavano, erano sbagliate o avevano una traduzione monca. “Il coraggio”, incantesimo di fuoco, ad esempio funzionava nella prima edizione una volta sola (rendendolo de facto inutile). Nelle successive ristampe venne introdotto la clausola “finché vedi mostri”. La prima edizione del ’89 aveva inoltre due copie di scudo ed elmo (suggerendo erroneamente che gli equipaggiamenti fossero limitati). Povero mago! Gli erano state negate le due carte “mantello protettivo” e “bracciali della difesa” progettate apposta per lui. Tutt’oggi invece i giocatori si interrogano sull’utilità dello spadino (sostituito nella versione USA con il pugnale da lancio). [Questa proprio non la sapevo...bisogna che controlli la mia copia...ndr]
5) Volendo i giocatori potevano passare l‘avventura a cercare tesori e non bastava la presenza di trappole e mostri erranti per farli desistere, soprattutto nelle edizioni in cui erano presenti tre pozioni guaritrici (che però andavano scartate e non rimesse nel mazzo). Per amor del dettaglio si ricorda che nella prima edizione italiana erano presenti solo due pozioni guaritrici e, in aggiunta, nel mazzo dei tesori c’era anche la carta “nulla”. ["NIENTE"! La carta era "Niente"!!! E la faccia di Viso mentre mimava il disegno sulla carta rimarrà scolpita nei nostri cuori per sempre. ndr]
Piccoli collezionisti crescono
Heroquest fu un successo. E per la prima volta i giovani giocatori, futuri nerd, scoprirono le espansioni sullo scaffale. Il gioco si prestava perfettamente a piccole scatole che in molti desideravano ferocemente, connotate dal prezzo proibitivo: 25.000 lire per “La Rocca di Kellar”, altrettante per il “Ritorno del Signore degli Stregoni” in un’epoca dove se girava bene la mancia mensile era di 5.000 lire. L’espansione rossa e verde permettevano di raddoppiare la dotazione iniziale di miniature (triplicarle nel caso dei non morti) e soprattutto garantivano 10 nuove quest, legate fra loro, meglio progettate e più originali di quelle presenti nel gioco base. Una meraviglia! Nei mesi successivi arrivò la ricercata (oggi) espansione dell’Orda degli Ogre (in scatola medio grande) con addirittura un nuovo tipo di mostro (i potenti Ogre) e ancora più tardi il triste “Adventure Design Kit”. Sarebbe stato bello che oltre alle avventure bianche e agli adesivi il design kit offrisse quattro guerrieri del caos, un Gargoyle e magari delle avventure ad hoc, per colmare il gap con le miniature stampate “in grigio” ancora troppo poco numerose rispetto alle altre categorie di mostri. Infine l’entusiasmo s’era già raffreddato, i ragazzini erano cresciuti e la bellissima espansione dei “I Maghi di Morkar”, con quattro miniature di maghi diversi e ulteriori armigeri scappò dal radar di molti. Fu un peccato dato che oggi “I maghi di Morkar” vale molto più denaro di quanto pesi.
Piccoli reboot furbetti
Heroquest è stato imitato sin da subito. Un vero cimelio da collezione (si fa per dire) è l’orribile Herocults, della Falomir casa editrice spagnola (già al tempo si sarebbe dovuto capire che era meglio non fidarsi della Spagna su questo tema, vero Heroquest 25esima edizione?). Herocults imitava il logo e i colori della scatola ufficiale ma l’immagine sul box suscitava un misto di ribrezzo e compassione tanto era brutta. Dentro poi i componenti erano ridicoli: le miniature in cartone, il tabellone imbarazzante, le regole (aveva delle regole?) confusionarie. Insomma un vero e proprio raggiro ai danni dell’MB e delle nonne che ci cascarono. Immaginare bambini che scartavano sotto l’albero di natale copie dell’abominevole Herocults al posto di Heroquest fa davvero sanguinare il cuore. Sogni infranti che odorano di cartone pressato e colla.
Nel 1991 l’inglese Waddingtons pubblicò DarkWorld un dungeon crowler chiaramente ispirato a Heroquest. Niente mobili (tanto per cambiare) ma muri e pareti e nell’espansione persino un villaggio con tanto di mulino. Heroquest vinceva ancora a mani basse grazie alle miniature molto dettagliate, adeguate per essere dipinte. All’opposto quelle di DarkWorld erano lucide e arrotondate: dei soldatini in 28mm più che delle miniature.
Dello stesso difetto soffriva l’imponente Legend of Zargon (1993) della Parkers Brother che nonostante la voce digitale con tanto di suono di spade in duello, proponeva miniature meno dettagliate e più sgraziate.
Heroquest “le nuove imprese”
Nel 1990, più costoso ancora (75.000 lire) la MB lanciò sule mercato Heroquest “le nuove imprese”. Si trattava sempre del solito Heroquest con in più gli armigeri dell’Orda degli Ogre (“the dark company”) e un volantino con quattro imprese multicolore che davvero non bastavano a giustificare un nuovo acquisto per chi possedeva già la vecchia scatola. Ci fu chi lo comprò immaginando un gioco nuovo e si trovo una doppia copia di Heroquest ben presto abbandonata in soffitta. Chi però conobbe il gioco con questa versione ebbe il bonus aggiuntivo degli armigeri suscitando la gelosia di chi non era riuscito ad ottenerli neppure con L‘Orda degli Ogre (50.000 lire per una espansione da Pergioco – Milano non era qualcosa che tutti potessero permettersi).
Il modellismo: il plus che fa la
differenza.
Cosa rende Heroquest tanto amato dai collezionisti? Non si tratta solo di nostalgia. A differenza di molti altri dungeon crawler quasi coevi o successivi le miniature di Heroquest non erano dei giocattoli, erano delle miniature da dipingere, possibilmente come suggerito sul fianco della scatola. In un’epoca dove il modellismo era ferroviario o relegati agli aeroplani della Tamiya qualcuno provò persino a dipingerle, magari con gli acquarelli o gli smalti della mamma. Il risultato era a dir poco traballante ma la scintilla dell’hobby era stata accesa. La Games Workshop poi forniva ulteriori scatole e miniature perfette per rimpolpare la schiera dei nemici buttando benzina sul fuoco del sandboxing e delle avventure. Fino all’apoteosi di Battle Master, un vero wargames per il mercato di largo consumo.
E all’estero?
Heroquest fu un successo planetario e il collezionista più sfegatato sa benissimo che l’edizione USA, uscita nel 1990 venne migliorata (o peggiorata dipende da quanto è purista l’appassionato), tramutata in un accattivante “game-system” e adattata al mercato americano più smaliziato, si pensava evidentemente, dei cugini europei. L’edizione USA utilizzava finalmente i punti mente (PM), proponeva i libri delle avventure a colori (per distinguere meglio trappole e mostri), eliminava le carte equipaggiamento (per una più triste armeria disegnata sul divisorio in cartone della scatola) e diminuiva i tesori ma raddoppiava gli artefatti e introduceva i gloriosi incantesimi del Chaos. Inoltre le statistiche dei mostri erano cambiate rispetto quelle dei cugini europei. Non solo alcuni valori nei dadi di attacco o difesa erano stati modificati, ma soprattutto i punti corpo (PC) erano aumentati! Evidentemente la dieta nei dungeon americani ha loro giovato!
A conti fatti si trattava di vere e proprie migliorie che rendevano però il gioco più complesso, più fortunoso (le pozioni curative guarivano 1d6 punti vita non 4 come nell’edizione europea) e molto molto più arduo per gli eroi. Due espansioni (delle quattro programmate) vennero infine messe sul mercato: il Barbarian e l’Elf quest pack (rispettivamente “The Frozen Horror” e “The Mage of the Mirror”). Nelle espansioni USA il barbaro e l’elfo ricevettero la loro controparte femminile e offrirono agli appassionati molte nuove miniature di mostri e/o nemici, nuove stanze e 10 quest che erano il folle parto di un demonio travestito da Mentor. Si trattava di quest così sbilanciate ed impossibili da superare che neppure il master più sanguinario poteva usarle a cuor leggero. Le quest evidentemente non erano mai state playtestate e la frustrazione dei giocatori divenne palpabile. Comunque in tanti avrebbero immaginato e desiderato le espansioni per il nano e per il mago (mai prodotte e forse neppure mai ideate) mentre in Europa arrivavano queste due espansioni atipiche e costosissime, rigorosamente in inglese. Oggi queste espansioni sono praticamente introvabili o hanno dei costi proibitivi. [Ma sono sicuro che la Hasbro col nuovo reboot farà uscire anche quelle del Nano e del Mago se la campagna avrà il successo commerciale sperato...ndr].
Eredi
Ormai Heroquest aveva dato il via all’era dei giochi da tavolo dal contenuto ricco e sfarzoso, con molti elementi in plastica invece che in cartoncino, capostipite di quei titoli che affascinarono un’altra generazione di ragazzini. Da parte sua la Milton Bradley (MB) produsse Starquest (Space Crusade in USA) e il già citato e colossale (più di 100 miniature) Battle Master (100.000 lire). Starquest, nostalgia a parte è “invecchiato bene” e può essere ancora goduto per una sera o due con il proprio gruppo di amici. D’altro canto la Games Workshop (GW) mangiò la foglia e propose Advanced Heroquest (dalle regole bizantine e le miniature un po’ troppo ripetitive) che persino nell’immagine di copertina clonava Heroquest (o forse venne disegnata alla fine della stessa riunione di redazione) e l’imponente e super ricercato dai collezionisti Warhammer Quest (ci si riferisce alla prima edizione, non i reboot moderni). Niente mobilia purtroppo, ma nel caso di Warhammer Quest dei portali in plastica alti dieci centimetri. Coevo di Heroquest è il mitico Space Hulk, riproposto poi in diverse edizioni fino a quella definitiva (che definitiva non fu dato che venne ristampata ancora più bella due anni dopo) che fra i tanti è sicuramente il titolo più riuscito e che meriterebbe un articolo ad hoc.
La community
Con la diffusione internet Heroquest venne (ed è tuttora) supportato da comunità molto ricche e fertili, che propongono, esattamente in linea con il concetto di sandboxing, nuove regole e nuove avventure, nuove espansioni e i PDF di tutto quello che su Heroquest venne prodotto all’epoca. Dagli articoli sul White Dwarf alle quest brasiliane, dai librigame della Corgi (con quest inedite) ai giochi del computer. Addirittura venne prodotto dalla Merlin un album di figurine. Sissignore! Quanti giochi da tavolo sono stati così famosi da meritarsi persino l’album delle figurine? Oggi il mercato degli appassionati ha creato e venduto di tutto: dai dadi speciali, alle miniature in posa alternativa… ai sottobicchieri per non rovinare il tabellone mentre si gioca e si beve una birra magari analcolica. Qualcuno, appassionato di Heroquest, non solo ha costruito un dungeon in tre dimensioni per giocarvi (anche castando nel proprio forno di casa i pezzi, grazie a degli incredibili stampi in silicone) ma ha anche riscritto le classiche regole affinché fossero adattabili a un dungeon modulare in 3D. Numerosi produttori di miniature hanno infine ovviato l’assurda a mancanza di mobili per rallegrare le segrete di tutto il mondo. I migliori, stampati in resina, sono davvero ricchi di dettagli.
Le informazioni da non perdere
Il portale italiano più noto e ricco dedicato a Heroquest può essere visitato su HeroQuestGame.com [dalla grafica un po' vecchiotta ma veramente completo e ancora molto attivo! ndr] e ha prodotto “Epic Quest” oltre a mettere a disposizione i PDF gratis (e molte curiosità) per tutti gli utenti. Sul portale potete trovare anche tutte le differenze fra l’edizione europea e quella americana oltre a poter scaricare gratuitamente files e PDF nonché avventure inedite. Andrea Angiolino nel 1998 realizzò per conto della compianta Kaos una bellissima intervista a Stephen Baker. Essa svela dei retroscena molto gustosi rispetto Heroquest e Starquest ed è al momento disponibile integralmente sulla Tana dei Goblin
Il mercato dei collezionisti
Oggi un Heroquest perfetto e sigillato può costare più di mille euro e anche le copie usate raggiungono cifre ragguardevoli soprattutto se sono ben tenute (si ponga attenzione ai dettagli: le candele e le code dei topi dicono quanto è stato usato il prodotto), le espansioni con le relative scatole (che al tempo venivano buttate appena aperte) raggiungono cifre imbarazzanti. Su Ebay vendono persino le miniature clonate! Alcuni scultori infine hanno ripensato in chiave moderna le miniature classiche proponendo delle alternative davvero meravigliose a cui verrà presto dedicato un articolo su queste pagine.
Qualche anno fa…
Heroquest venne riproposto su Kickstarter e poi su Lanzanos, una piattaforma di crowfunding spagnola, per celebrare il 25esimo anniversario del titolo da un editore ispanico che produceva e vendeva miniature stranamente simili a quella della Games Worshop. Il progetto finì in un pantano di copyright infranti, project management zoppicante, denunce e delusioni. In attesa che il processo attualmente in corso sfoci in una condanna (o meno) i backers hanno perso tutti i loro soldi per colpa di quel sentimento potente che è la nostalgia. “Rischiammo per amore” può essere l’epitaffio di questa incresciosa vicenda. [Ancora in tribunale...ndr]
Il glorioso presente
Il tempo sembrava essersi fermato e Heroquest doveva rimanere un progetto morto, perduto nell’armarcord delle serate fra amici quando, all’improvviso, un timer misterioso ha scosso la comunità dei player di giochi da tavolo e RPG mondiale. Heroquest sta tornando e questa volta è riproposto direttamente dalla Hasbro e dalla Avalon Hill. Mille domande stanno affollando i forum specializzati o le pagine dedicate su facebook. Che gioco verrà mostrato alla fine del timer? Un gioco da tavolo o una applicazione digitale? Un reboot, un gioco completamente nuovo con solo il titolo in comune? L’immagine dell’infuso eroico fa pensare ad una rispettosa operazione nostalgia… ma come sarà possibile riuscirci senza la collaborazione della Games Workshop che come visto aveva intessuto Heroquest della sua cifra stilistica: dalle miniature da modellista all’ambientazione sword & sorcery, grim & dark di Warhammer? Si teme che alcune cose saranno impossibili senza la partecipazione della Games Workshop: guerrieri del caos e Fimir sono copyright Citadel Miniatures e probabilmente non saranno presenti nella nuova edizione. Comunque vada la nostalgia può trarre in inganno e il rischio di delusione, stante le migliori proposte, è molto forte nei puristi.
Comunque vada quel timer ha riacceso la fiamma della nostalgia, ha portato alla scrittura di questo articolo e ha riportato la fantasia di molti appassionati a più di trent’anni fa, quando bastava aprire la scatola di Heroquest per sentirsi un eroe. O per trucidare gli eroi al tavolo.
Bentornato Heroquest!
venerdì 25 settembre 2020
Lo scalpore del ritorno de Lo Re
Dopo l'annuncio di Hasbro di una riedizione di HeroQuest ammodernata nell'artwork (solo e soltanto), si sono sprecati gli articoli in rete! Nelle prossime settimane quelli che per me sono i più significativi (aggiungendo magari qualche nuovo spunto ai fiumi d'inchiostro sprecati per Lo Re in 30 anni!).
Da un articolo sulla Tana dell'utente "boskoz".
Secondo il modesto parere di chi scrive, HeroQuest (l'amato/odiato, ma mi sento di dire di più il primo, per fortuna) non è comunque forse stato sempre “capito”. Quello che molti non hanno compreso (sia all'epoca che tutt'oggi) è che l'oggetto che c'era in vendita non era proprio un gioco, ma più un "editor" di missioni fantasy.
C'era una scatola con un tabellone buono per tutte le occasioni, vari arredi, carte con soldi e oggetti, mostri di vario tipo, dieci missioni di esempio e poi una secchiata di schede personaggio con una bella pagina bianca in fondo al Quest Book, dove si veniva tacitamente invitati ad iniziare a camminare da soli, da lì in avanti. Io ho sfornato un sacco di materiale, negli anni, per la mia compagnia di gioco (davvero parecchio!) e di gente che ha prodotto altrettanto materiale e idee ce n'è stata davvero molta; non a caso esistono interi siti internet di risorse scaricabili: missioni, personaggi, mazzetti. Anche in Italia ci difendiamo bene con il Forum Italiano di HeroQuest ancora attivissimo e molto frequentato (*) e sicuramente non sono tutti impegnati a rigiocarsi per la trecentesima volta “Il salvataggio di Sir Ragnar” della scatola base, come potete immaginare. Pochi altri giochi hanno dato vita a così tanto materiale fan made ed è proprio perché HeroQuest si presta davvero molto all'editing.
Esso è infatti più che altro un “sistema”. La meccanica di gioco è sempre stata un ibrido tra GDR e GDT dove, per il gestore del gioco, era tanto importante “arredarti una stanza” quando la aprivi, almeno quanto lo era raccontarti a voce quanto era cupo e tenebroso ciò che stavi vedendo con gli occhi del tuo personaggio. E in questo frangente, quello che serve è un Master che te la racconti giusta, ma anche una persona (dotata di dedizione) che crei “dietro le quinte”, prima della sessione, l'avventura che si dovrà vivere. Io ho fatto decine di missioni differenti sul sistema HeroQuest, che a parer mio funziona anche bene, nella sua estrema semplicità.
Mi viene da sottolineare che il giocatore medio italiano l'ha probabilmente giocato coi mostri italiani fallati, che si presentavano tutti con un punto vita, e non con quelli americani dove avevano uno, due e anche tre. Ipotizzando quindi di parlare della versione coi mostri “ragionati” (l'americana) devo dire che trovo il sistema più bilanciato di tanti altri proprio perché ragiona su numeri bassi: il giocatore “capisce” bene quanto è forte il suo eroe e quello che sta succedendo attorno a lui. Un mostro normale, orco o goblin, ha uno di vita. Un eroe fisicamente debole ha uno di attacco (infatti solitamente fa ben altro, per esempio lancia magie), ma con una bastonata fortunata potrebbe stendere un goblin. Non ha possibilità di ammazzare però qualcosa con vita maggiore... o almeno non da solo, ma potrebbe approfittare di un mostro ferito. Sono ragionamenti, sono lampanti e sono corretti. Fare un attacco da un dado o farlo da tre dadi, in questo gioco è mostruosamente differente. In tanti Dungeon Crawler successivi si forma un insieme di lancio notevole, di sei, sette o anche più dadi con danno variabile, critici, fulmini, icone e la cosa diventa certamente bella a variegata, ma anche più difficile da “comprendere”.
Se in HeroQuest ho un mostro che possiede un punto vita e lancio un dado solo, so bene cosa sto facendo: ho il cinquanta percento di possibilità di poterlo colpire e lui magari un sesto di possibilità, se tira un dado, che pari il colpo. Posso prendere in considerazione se farlo o meno, ragionarci, chiedere magari al mio compagno - che di dadi ne lancia due perché è forzuto - di pensarci al posto mio mentre io faccio altro. Personalmente apprezzo la "matematica" base ed elementare di HeroQuest. E per questo adoro cose come il "timore riverenziale" che provoca l'entrata in scena di un mostro da tre punti vita che picchia con quattro dadi. Il sudore sulla fronte e lo sguardo del giocatore che pensa “ma come lo ammazziamo questo?”. Il sistema semplice, si presta quindi anche alla creatività e alla creazione.
C'è una semplice matrice, per la creazione di un personaggio di HeroQuest, e ce lo insegnano gli eroi di base: la somma di mente e corpo deve sempre dare dieci. Si passa dagli estremi del Barbaro (corpo otto, mente due), al Mago (corpo quattro, mente sei) e sempre agli estremi di questo semplice gioco vi è la forza d'attacco, l'enorme tre del Barbaro, il timido uno del Mago e l'affidabilità di un due, mediano. Con questa consapevolezza non si possono creare eroi “tanto sbagliati” o sbilanciati (usando il buonsenso poi, nell'ideare qualche abilità). Non voglio però essere un cieco sostenitore incapace di scorgere quello che per molti potrebbe essere un difetto: l'HeroQuest “della scatola” non è perfetto o particolarmente completo. Oggi si può comprare un prodotto finito, come “Il Dungeon del mago folle” che ha una campagna organizzata, con un progresso del personaggio e di altri sistemi tra le missioni sicuramente fatto meglio, ma si è sempre nel campo del “pieno cooperativo contro il gioco”: manca il Master. C'è della trama? Della narrazione? No. La possibilità di creare materiale fan made? Difficile, perché gli eroi iniziano ad essere più complessi, con deck dedicati, e skill divise per gradi... E questo accade perché quello è un gioco forse migliore, ma un editor peggiore.
C'è ancora questo genere di dedizione al giorno d'oggi? Onestamente non lo so. Si tende spesso a far sparire la figura del master ormai, in favore degli automatismi e se il Master non lo vogliamo più nemmeno che ci legga un paragrafo da un libro o gestisca un paio di mostri, forse ancora meno lo cerchiamo, anche come idea, affinché debba crearci una missione o degli eroi da zero. Ma potrebbe anche essere il Master stesso a non avere più molto tempo libero per ricoprire il ruolo. Io stesso, col lavoro, ho a malapena il tempo di scrivere queste righe, ma nei periodi d'oro impiegavo una settimana intera per confezionare un'avventura funzionante e ci “lavoravo” qualche ora al giorno, tutti i giorni. Ora sembra fantascienza (o quarantena, fate voi). Però, se mi concentrassi abbastanza... lo potrei anche vedere nella mia mente un dodicenne, ora, nel 2020, conquistato da questa scatola vintage, perderci un sacco di ore e aver voglia di elaborare una missione per i suoi amici... e riesco a vederlo, perché io lo facevo.
Mi rendo conto di quanta voglia ci sia del vintage sinceramente, ogni giorno. Pensate a Stranger Things. Pensate al nostro stesso hobby, un prodotto che nel suo piccolo ha spopolato recentemente: Four Against Darkness (**), che cosa fa, tutto sommato? Prende eroi classici, li mette ad esplorare un sotterraneo e fornisce un sistema di combattimento semplicissimo. Non vi ricorda qualcosa? Quindi, a tutti quelli che lamentano che HeroQuest è banalotto, è semplice: guardate che questa semplicità e questo classicismo a molti piacciono ancora.
In conclusione, come in tutte le cose, anche qui bisogna solo essere consci di quello che si sta facendo procurandosi un HeroQuest. Non si sta cercando un dungeon crawler aggiornato, con meccaniche innovative, quanto piuttosto del materiale, delle idee e degli spunti per cominciare l'episodio numero zero di un'infinità di possibili missioni fantasy, scritte per gli amici e da vivere con gli amici.
Per HeroQuest serve passione, dedizione e tempo. Non è lui ad essere superato, perché un altro come lui non ce n'è: è l'epoca che è stata superata. Siamo noi a non avere più il tempo necessario per apprezzarlo e utilizzarlo per quello che era stato creato. Siamo in un'epoca di gioco in cui i minuti di setup vengono indicati come un parametro di giudizio, si può quindi immaginare “la settimana” di creazione di un'avventura cosa significhi: è una cosa fuori dal mondo, di un'altra epoca e l'utilizzo di HeroQuest è così datato da poterlo paragonare a un arco: magari epico, splendido da vedere, utilizzabile per ritrovi occasionali cerimoniali, ma non più adatto a sostenere quella che è la guerra moderna.
Ma se si ha ancora il tempo per prendere la mira... cavoli, non sbaglia un colpo.
[Forse non sapevi che...
* non sono solo i forum di appassionati ad essere attivi e frequentati, ma in questi giorni stanno tutti impazzendo per HeroQuest a causa di questo countdown apparso sul sito della ben nota Avalon Hill! Le speculazioni sono già iniziate (in tutte le direzioni);
lunedì 14 settembre 2020
Eh, ciao!
Lo riconoscete?
E' il mitico Witch Lord, il Signore degli Stregoni di Heroquest, e da 2 giorni la Avalon Hill (di proprietà della Hasbro) ha rilasciato una pagina misteriossima con un countdown con la scritta HEROQUEST!
La scadenza dovrebbe essere martedì 22 settembre per noi italiani.
lunedì 31 agosto 2020
Spectral Chaos: Magic da un futuro passato...
Mamma mia, che latitanza! Eh si, sto proprio invecchiando se in 2 mesi (complici le doppie vacanze mare-montagna) non sono riuscito a postare nulla (però cazzo Mauro! Un riassunto smerdato di Cthulhu potevi farlo)...
La leggenda narra che... un bel giorno Richard Garfield mise assieme il primissimo mazzo del suo nuovo gioco formando semplicemente un mazzo di ottanta carte con tutti i cinque colori e gli artefatti, lo divise in due parti (all’epoca si giocava con sole quaranta carte) e invitò il suo amico Barry "Bit" Reich a giocare la prima partita di Magic della storia. La partita andò avanti finché uno dei due mazzi non diventò praticamente ingiocabile. Da allora Barry può vantarsi di essere stato colui che vinse la prima partita di Magic della storia.
Agli inizi degli anni ‘90, Garfield, quando si rese conto che Magic avrebbe avuto un futuro, capì che avrebbe ben presto avuto bisogno di ampliamenti ed espansioni e si accorse che non sarebbe stato in grado di ideare tutta quella mole di carte. Così si rivolse alle uniche altre persone che all'epoca conoscevano Magic, quei gruppi di amici con i quali testava il suo nuovo gioco. Erano giocatori che provenivano da diversi raggruppamenti sparsi per l’America e Richard assegnò a ciascun gruppo la propria espansione sulla quale lavorare.
Al primo gruppo, conosciuto da alcuni come East Coast Playtesters, fu assegnato di sviluppare il set “Ice Age”. Questo gruppo si mise d’impegno e, nel processo creativo, ideò anche altri set: Alliance, Antiquities e Fallen Empires. Tutte espansioni che vennero pubblicate negli anni successivi ed è giusto ricordare che, sebbene Ice Ace e Alliance furono editate rispettivamente solo nel ‘95 e nel ’96, furono proprio queste le prime due espansioni ideate per Magic.
A un secondo gruppo fu assegnato un set con il nome di lavorazione “Menagerie” che diventò così grande da dover essere diviso in due parti e che qualche anno dopo diede luce alle espansioni Mirage e Visions.
Prototipi delle alpha...le riconoscete? |
Il compito di sviluppare un ultimo set fu assegnato a un'unica persona, Barry "Bit" Reich. Il suo set, dal nome in codice “Spectral Chaos”, aveva un tema che incuriosiva Barry: le carte multicolore. A quel tempo, stiamo parlando del 1993 quando ancora non era stato editato il primo set di carte Alpha, le magie multicolore non esistevano. Le carte multicolore fecero la loro comparsa con l’espansione Legends (pubblicata nel 1994 anche in italiano, prima volta in assoluto che un'espansione di Magic veniva tradotta in un'altra lingua). Fu proprio questo set, sebbene concettualmente molto diverso dal progetto di Barry, ad accantonare per sempre le Spectral Chaos e a relegare il progetto in cantina.
Fu un vero peccato perché il design concettuale di Spectral Chaos era molto all’avanguardia, con particolari meccaniche. Erano già stati fatti quattro interi cicli di play-test quando l'espansione fu presentata alla Wizard of the Coast due anni dopo, ma la principale paura dell'editore fu quella di temere che il pubblico non reagisse bene a un altro set multicolore subito dopo le Legends e così il set di Barry non vide mai la luce nella sua interezza. E da appassionato del gioco la cosa fa ancora più dispiacere, pensando che le tre espansioni che seguirono Legends (The Dark, Fallen Empires e Homelands) sono tra le più insulse mai stampate.
Tuttavia, molte delle idee di Barry sono state incorporate in altri set di espansione (soprattutto Tempest e Invasion), svariate meccaniche e il design di certe carte carte, molto note ai giocatori della vecchia guardia, trovano fondamento in quel vecchio progetto. Solo qualche anno fa "The Misprint Guy" Keith Adams, un collezionista di rarità (possiede un'enorme collezione di misprint, cioè carte molto ricercate e di grande valore perchè presentano più o meno clamorosi errori di stampa) contattò Barry Reich con l’intenzione di acquistare delle rarità. Barry gli mise a disposizione la sua cantina, ricca di cimeli del periodo antecedente la pubblicazione del set Alpha, e Keith, scartabellando tra i vari scatoloni, si trovò davanti le carte di Barry! L’ultima versione del set completo delle Spectral Chaos, utilizzate per i play-test, per un totale di quattrocentoventinove carte!
Un set enorme, uno sguardo nella capsula del tempo che fa luce sulle origini di alcune tra le più grandi e audaci idee di Magic: la meccanica di “Flash”, che permette di giocare una qualsiasi carta come fosse un Istantaneo; la meccanica di “Pitch Spell” che permette di giocare una carta non spendendo mana, ma pagandone il costo eliminando dalla mano un’altra carta; l’idea di frazioni non intere di mana per pagare una carta (vista solo nelle Unhinged, set “for fun” non legale in alcun formato ufficiale) e terre base che forniscono mana incolore (in parole povere Barry in questo modo introduceva un sesto colore, al di là dei cinque principali).
La rivelazione dell'intero set di Spectral Chaos che di Keith Adams fece nel 2015 in un noto video su YouTube, è una cosa affascinante. Ha fornito un’occasione senza precedenti per vedere le brillanti idee partorite da uno dei designer più originali della storia di Magic: The Gatherig. Per chi fosse interessato è possibile scaricare la lista intera delle carte.
Da allora tanti giocatori hanno sognato che questo set venga finalmente stampato dalla Wizard of the Coast e qualche fanatico si è addirittura divertito nel proporre la propria versione delle carte studiandone un layout simile a quello originale.