Da un completissimo articolo di Japo Orbo su Tom's Show che ripercorre storia e fortune de Lo Re (nonstante qualche errore da non HeroNerd...).
Heroquest: un’avventura senza fine
Heroquest è una pietra miliare del genere dungeon crawler. Ideato da Stephen Baker, Heroquest porta nel mercato di largo consumo dedicato ai giochi, in tempi non sospetti dato che correva il 1989, un titolo da negozio specializzato, un po’ Dungeons & Dragons e un po’ Warhammer quando ancora i wargames e le miniature (in piombo) erano appannaggio solo di una ristretta cerchia di appassionati. La partnership coraggiosa fra Games Worshop (GW) e Milton Bradley (MB) è l’occasione per la prima di far conoscere il proprio universo fantasy e le proprie miniature al di fuori delle fiere di settore (o dei negozi specializzati), per la seconda di offrire un gioco da tavolo finalmente innovativo, dai contenuti sontuosi, in grado di affascinare, come poi fu dimostrato dai fatti, centinaia di migliaia di ragazzini. Tutt’oggi è possibile comprendere l’impatto sui ragazzi degli anni ’80 della scatola nera, con l’iconico logo e l’illustrazione del Barbaro in posizione prona, spada sventolante, disegnata in modo realistico e maturo da Les Edwards. Rispetto alla confezione bianca e rossa del Monopoli la Milton Bradley (MB) aveva fatto un passo da gigante. Heroquest ad oggi è un pezzo da collezione. Per trovarlo è necessario armarsi di pazienza e denaro e sfogliare le numerose ed incredibili proposte su Ebay (Vi proponiamo il link ad alcune vendite online)
L’avventura entra in casa grazie allo spot
Il commercial televisivo decretò il successo di Heroquest ancorché il passaparola fra gli appassionati. Per i teenagers di quegli anni, senza internet è bene ricordarlo, la pubblicità, le immagini, la voce fuori campo “labirinti impenetrabili, tranelli, trabocchetti… incantesimi”, e uno dei giocatori attorno al tavolo che si rivelava essere un orchetto, fu un colpo al cuore: che gioco sarebbe mai stato questo Heroquest? Quali meravigliose avventure prometteva? A sorpresa a differenza di altri titoli esaltati dalla pubblicità e alla prova più o meno deludenti (Atmosfear ad esempio) Heroquest confermò le alte aspettative che aveva creato nel cuore dei giovani dell’epoca.
Innovativo e inaspettato
L’acquisto, pagato 45.000 lire (se si era stati fortunati) non deluse le aspettative. La componentistica in plastica era superba, le miniature dettagliate, la componentistica ricca e sontuosa soprattutto se paragonata agli standard di quegli anni (ma in grado di surclassare anche alcune produzioni moderne). Le regole erano forse difficile da masticare per gli allora ragazzini di dieci e undici anni, cresciuti (o prossimi a crescere) con i film di Spielberg, ignari della Scatola Rossa di D&D, affascinati dalla “Storia Ancestrale” in edicola. I più fortunati avevano già letto lo Hobbit e forse le Dragonlance e ritrovavano tutta l’atmosfera dei loro libri preferiti in quella rettangolare e piatta scatola nera.
Sandbox ruling
Ben presto i ragazzini si accorsero che il gioco nella versione europea (se usavano le regole giuste) poteva essere fin troppo facile e che i mostri venivano falciati dai quattro impavidi eroi (il Barbaro, l’Elfo, il Nano e il Mago, così senza nome, veri e propri archetipi delle classi fantasy) come grano maturo. E allora il vicino di casa che si invidiava perché lui Heroquest aveva persino provato a dipingerlo (si tornerà su questo tema più sotto) beh quel vicino sentenziava con sguardo malvagio: “gli orchi di questa avventura hanno sei punti corpo” anticipando de facto l’esperienza frustrante del Barbarian Pack “The Frozen Horror”. Grondando il sangue degli avventurieri così sventrati nasceva il concetto di sandboxing. Heroquest è bello per molte cose, per l’estetica anni ottanta, per i mobili in cartone e plastica sempre invidiati ma mai più replicati (per misteriosi motivi), per le miniature essenziali ma piene di flavor e soprattutto per il fatto che fosse potenzialmente (ed infinitamente) espandibile. A partire dalle quest.
Avventure infinite
Dieci quest attendono gli eroi. Per timore che il titolo fosse accusato di scarsa ri-giocabilità, MB ha previsto che le successive avventure potessero essere inventate dai proprietari del gioco, fornendo al centro del libro delle missioni una mappa vuota con i simboli necessari (mostri, porte, trappole etc) per creare le proprie avventure. L’iniziativa ebbe talmente successo che una delle espansioni del gioco è dedicata solo a questo aspetto (il terribile “adventure design kit” si veda dopo) in un’epoca dove photoshop era appannaggio dei soli editori. Purtroppo nel gioco base nessun suggerimento era stato speso per il bilanciamento delle avventure auto-prodotte (a dire il vero anche il bilanciamento di quelle ufficiali a volte lasciava un po’ a desiderare) e equilibrare l’avventura era appannaggio esclusivo del proprietario del gioco che per molto motivi (fra cui il possesso) spesso assurgeva al ruolo di master o più propriamente “tiranno sanguinario”.
Morkar il benevolo malvagio
Heroquest è asimmetrico: è un gioco da tavolo con un giocatore che veste i panni di Morkar che si diverte meno (o di più?) degli altri avventurieri, che “apparecchia” la partita, che muove i mostri. Il master è la croce o delizia per gli amanti del genere. Per chi gioca ai GDR vecchio stampo è un ruolo immediato e piacevole che in fin dei conti nobilita il player: Morkar deve far divertire il party e alla fine diventa il coautore delle avventure. Se serve aggiunge un mostro, ne cancella un altro, insomma si prodiga perché l‘avventura continui. Nascostamente il vero master di Heroquest parteggia per i giocatori, come suggerito in D&D. A volte.
Più spesso e a dodici anni di età Morkar era un pazzo sanguinario che segnava sul retro del tabellone gli avventurieri uccisi: una tacca era un morto e lui lo possiede ancora quel tabellone, pieno di tacche che neppure la cella di Cagliostro, invendibile trofeo degli amici calpestati grazie al potere del master. Molti dungeon crawlers oggi cercano di ovviare al concetto del master (IA o programmi online) dimenticando che i veri giocatori/eroi degli anni ottanta sanno che nessuna applicazione o IA può essere tanto intelligente da sostituire il sudore freddo che ti riempiva la schiena quando Morkar vestiva i panni di un ragazzino con gli occhiali e l’apparecchio. Un ragazzino ghignante. [Viso non aveva nè occhiali nè apparecchio, ma era spietato lo stesso! ndr]
Nostalgia a bizzeffe
Heroquest ha degli indubbi vantaggi: è un gioco con ottime miniature, in cui si esplora (e arreda) progressivamente un dungeon sotterraneo: trappole, scale a spirale, mobilia, porte aperte e chiuse… Le regole sono semplici ed intuitive. Nel tempo è diventato iconico, così come iconici sono i suoi dadi (teschio, scudo bianco e scudo nero). Per molti ragazzi è stato introduttivo ai giochi da tavolo, alla letteratura fantasy, ai libri di Tolkien (dalla cui ambientazione la Games Workshop aveva sempre attinto a piene mani), ai wargames, ai librigame, ai giochi di ruolo (rpg), ai giochi di carte collezionabili (MTG) a volte a tutti questi insieme. [Eh già...ndr]
Heroquest era il titolo dell’estate del ‘90 e del ‘91 quando si aveva ancora tempo per giocare e ogni volta che si apriva la scatola si sentiva l’odore dell’avventura e delle infine possibilità dei dodici anni. Heroquest è lo “stand by me” dei giochi da tavolo e per questo è stato emulato, copiato e riadattato.
Design
Le illustrazioni, la grafica delle carte e del tabellone, persino le texture hanno un gusto heroic fantasy, sword & sorcery tipico degli anni ottanta. Rispetto alla fantasy moderna Heroquest è molto meno digitale, videogiocoso, 3D o mangastyle. Sul tabellone ci sono le macchie di sangue dei mostri uccisi e nel mobilio spicca il tavolo di tortura. Fantastico. Il fantasy di Heroquest era cupo e serio, esattamente l’opposto del puccioso e colorato fantasy adottato ad esempio da Dungeons and Dragons the boardgames (edito dalla Hasbro).
Non è tutto oro quello che…
Ovviamente Heroquest non è perfetto e presenta dei piccoli/grandi bug e incongruenze tipici dell’epoca e/o di una cura saltuaria nella realizzazione. Fa piacere elencarli qui di seguito, anche differenziando le diverse edizioni e rarità.
1) Preparare i mobili e staccare dagli “sprue” le miniature: impresa ardua per un ragazzino che non possiede un cutter o non ha mai fatto modellismo. Spesso i piccoli pezzi dell’assemblaggio venivano persi o rotti in partenza. Tipici esempi sono le fiamme dei due candelabri (trovarle intatte in un Heroquest usato significa avere un grande colpo di fortuna) o le maledette code dei topi che solo a guardarle si spaccavano.
2) Nella prima edizione la prima quest “il labirinto” era davvero semplice (e noiosa) per questo forse venne sostituita con “la prova” che invece era assolutamente troppo difficile per un party alle prime armi.
3) I punti mente non avevano reale utilità e trovarono il loro impiego (saltuario) solo nelle espansioni.
4) Alcune carte mancavano, erano sbagliate o avevano una traduzione monca. “Il coraggio”, incantesimo di fuoco, ad esempio funzionava nella prima edizione una volta sola (rendendolo de facto inutile). Nelle successive ristampe venne introdotto la clausola “finché vedi mostri”. La prima edizione del ’89 aveva inoltre due copie di scudo ed elmo (suggerendo erroneamente che gli equipaggiamenti fossero limitati). Povero mago! Gli erano state negate le due carte “mantello protettivo” e “bracciali della difesa” progettate apposta per lui. Tutt’oggi invece i giocatori si interrogano sull’utilità dello spadino (sostituito nella versione USA con il pugnale da lancio). [Questa proprio non la sapevo...bisogna che controlli la mia copia...ndr]
5) Volendo i giocatori potevano passare l‘avventura a cercare tesori e non bastava la presenza di trappole e mostri erranti per farli desistere, soprattutto nelle edizioni in cui erano presenti tre pozioni guaritrici (che però andavano scartate e non rimesse nel mazzo). Per amor del dettaglio si ricorda che nella prima edizione italiana erano presenti solo due pozioni guaritrici e, in aggiunta, nel mazzo dei tesori c’era anche la carta “nulla”. ["NIENTE"! La carta era "Niente"!!! E la faccia di Viso mentre mimava il disegno sulla carta rimarrà scolpita nei nostri cuori per sempre. ndr]
Piccoli collezionisti crescono
Heroquest fu un successo. E per la prima volta i giovani giocatori, futuri nerd, scoprirono le espansioni sullo scaffale. Il gioco si prestava perfettamente a piccole scatole che in molti desideravano ferocemente, connotate dal prezzo proibitivo: 25.000 lire per “La Rocca di Kellar”, altrettante per il “Ritorno del Signore degli Stregoni” in un’epoca dove se girava bene la mancia mensile era di 5.000 lire. L’espansione rossa e verde permettevano di raddoppiare la dotazione iniziale di miniature (triplicarle nel caso dei non morti) e soprattutto garantivano 10 nuove quest, legate fra loro, meglio progettate e più originali di quelle presenti nel gioco base. Una meraviglia! Nei mesi successivi arrivò la ricercata (oggi) espansione dell’Orda degli Ogre (in scatola medio grande) con addirittura un nuovo tipo di mostro (i potenti Ogre) e ancora più tardi il triste “Adventure Design Kit”. Sarebbe stato bello che oltre alle avventure bianche e agli adesivi il design kit offrisse quattro guerrieri del caos, un Gargoyle e magari delle avventure ad hoc, per colmare il gap con le miniature stampate “in grigio” ancora troppo poco numerose rispetto alle altre categorie di mostri. Infine l’entusiasmo s’era già raffreddato, i ragazzini erano cresciuti e la bellissima espansione dei “I Maghi di Morkar”, con quattro miniature di maghi diversi e ulteriori armigeri scappò dal radar di molti. Fu un peccato dato che oggi “I maghi di Morkar” vale molto più denaro di quanto pesi.
Piccoli reboot furbetti
Heroquest è stato imitato sin da subito. Un vero cimelio da collezione (si fa per dire) è l’orribile Herocults, della Falomir casa editrice spagnola (già al tempo si sarebbe dovuto capire che era meglio non fidarsi della Spagna su questo tema, vero Heroquest 25esima edizione?). Herocults imitava il logo e i colori della scatola ufficiale ma l’immagine sul box suscitava un misto di ribrezzo e compassione tanto era brutta. Dentro poi i componenti erano ridicoli: le miniature in cartone, il tabellone imbarazzante, le regole (aveva delle regole?) confusionarie. Insomma un vero e proprio raggiro ai danni dell’MB e delle nonne che ci cascarono. Immaginare bambini che scartavano sotto l’albero di natale copie dell’abominevole Herocults al posto di Heroquest fa davvero sanguinare il cuore. Sogni infranti che odorano di cartone pressato e colla.
Nel 1991 l’inglese Waddingtons pubblicò DarkWorld un dungeon crowler chiaramente ispirato a Heroquest. Niente mobili (tanto per cambiare) ma muri e pareti e nell’espansione persino un villaggio con tanto di mulino. Heroquest vinceva ancora a mani basse grazie alle miniature molto dettagliate, adeguate per essere dipinte. All’opposto quelle di DarkWorld erano lucide e arrotondate: dei soldatini in 28mm più che delle miniature.
Dello stesso difetto soffriva l’imponente Legend of Zargon (1993) della Parkers Brother che nonostante la voce digitale con tanto di suono di spade in duello, proponeva miniature meno dettagliate e più sgraziate.
Heroquest “le nuove imprese”
Nel 1990, più costoso ancora (75.000 lire) la MB lanciò sule mercato Heroquest “le nuove imprese”. Si trattava sempre del solito Heroquest con in più gli armigeri dell’Orda degli Ogre (“the dark company”) e un volantino con quattro imprese multicolore che davvero non bastavano a giustificare un nuovo acquisto per chi possedeva già la vecchia scatola. Ci fu chi lo comprò immaginando un gioco nuovo e si trovo una doppia copia di Heroquest ben presto abbandonata in soffitta. Chi però conobbe il gioco con questa versione ebbe il bonus aggiuntivo degli armigeri suscitando la gelosia di chi non era riuscito ad ottenerli neppure con L‘Orda degli Ogre (50.000 lire per una espansione da Pergioco – Milano non era qualcosa che tutti potessero permettersi).
Il modellismo: il plus che fa la
differenza.
Cosa rende Heroquest tanto amato dai collezionisti? Non si tratta solo di nostalgia. A differenza di molti altri dungeon crawler quasi coevi o successivi le miniature di Heroquest non erano dei giocattoli, erano delle miniature da dipingere, possibilmente come suggerito sul fianco della scatola. In un’epoca dove il modellismo era ferroviario o relegati agli aeroplani della Tamiya qualcuno provò persino a dipingerle, magari con gli acquarelli o gli smalti della mamma. Il risultato era a dir poco traballante ma la scintilla dell’hobby era stata accesa. La Games Workshop poi forniva ulteriori scatole e miniature perfette per rimpolpare la schiera dei nemici buttando benzina sul fuoco del sandboxing e delle avventure. Fino all’apoteosi di Battle Master, un vero wargames per il mercato di largo consumo.
E all’estero?
Heroquest fu un successo planetario e il collezionista più sfegatato sa benissimo che l’edizione USA, uscita nel 1990 venne migliorata (o peggiorata dipende da quanto è purista l’appassionato), tramutata in un accattivante “game-system” e adattata al mercato americano più smaliziato, si pensava evidentemente, dei cugini europei. L’edizione USA utilizzava finalmente i punti mente (PM), proponeva i libri delle avventure a colori (per distinguere meglio trappole e mostri), eliminava le carte equipaggiamento (per una più triste armeria disegnata sul divisorio in cartone della scatola) e diminuiva i tesori ma raddoppiava gli artefatti e introduceva i gloriosi incantesimi del Chaos. Inoltre le statistiche dei mostri erano cambiate rispetto quelle dei cugini europei. Non solo alcuni valori nei dadi di attacco o difesa erano stati modificati, ma soprattutto i punti corpo (PC) erano aumentati! Evidentemente la dieta nei dungeon americani ha loro giovato!
A conti fatti si trattava di vere e proprie migliorie che rendevano però il gioco più complesso, più fortunoso (le pozioni curative guarivano 1d6 punti vita non 4 come nell’edizione europea) e molto molto più arduo per gli eroi. Due espansioni (delle quattro programmate) vennero infine messe sul mercato: il Barbarian e l’Elf quest pack (rispettivamente “The Frozen Horror” e “The Mage of the Mirror”). Nelle espansioni USA il barbaro e l’elfo ricevettero la loro controparte femminile e offrirono agli appassionati molte nuove miniature di mostri e/o nemici, nuove stanze e 10 quest che erano il folle parto di un demonio travestito da Mentor. Si trattava di quest così sbilanciate ed impossibili da superare che neppure il master più sanguinario poteva usarle a cuor leggero. Le quest evidentemente non erano mai state playtestate e la frustrazione dei giocatori divenne palpabile. Comunque in tanti avrebbero immaginato e desiderato le espansioni per il nano e per il mago (mai prodotte e forse neppure mai ideate) mentre in Europa arrivavano queste due espansioni atipiche e costosissime, rigorosamente in inglese. Oggi queste espansioni sono praticamente introvabili o hanno dei costi proibitivi. [Ma sono sicuro che la Hasbro col nuovo reboot farà uscire anche quelle del Nano e del Mago se la campagna avrà il successo commerciale sperato...ndr].
Eredi
Ormai Heroquest aveva dato il via all’era dei giochi da tavolo dal contenuto ricco e sfarzoso, con molti elementi in plastica invece che in cartoncino, capostipite di quei titoli che affascinarono un’altra generazione di ragazzini. Da parte sua la Milton Bradley (MB) produsse Starquest (Space Crusade in USA) e il già citato e colossale (più di 100 miniature) Battle Master (100.000 lire). Starquest, nostalgia a parte è “invecchiato bene” e può essere ancora goduto per una sera o due con il proprio gruppo di amici. D’altro canto la Games Workshop (GW) mangiò la foglia e propose Advanced Heroquest (dalle regole bizantine e le miniature un po’ troppo ripetitive) che persino nell’immagine di copertina clonava Heroquest (o forse venne disegnata alla fine della stessa riunione di redazione) e l’imponente e super ricercato dai collezionisti Warhammer Quest (ci si riferisce alla prima edizione, non i reboot moderni). Niente mobilia purtroppo, ma nel caso di Warhammer Quest dei portali in plastica alti dieci centimetri. Coevo di Heroquest è il mitico Space Hulk, riproposto poi in diverse edizioni fino a quella definitiva (che definitiva non fu dato che venne ristampata ancora più bella due anni dopo) che fra i tanti è sicuramente il titolo più riuscito e che meriterebbe un articolo ad hoc.
La community
Con la diffusione internet Heroquest venne (ed è tuttora) supportato da comunità molto ricche e fertili, che propongono, esattamente in linea con il concetto di sandboxing, nuove regole e nuove avventure, nuove espansioni e i PDF di tutto quello che su Heroquest venne prodotto all’epoca. Dagli articoli sul White Dwarf alle quest brasiliane, dai librigame della Corgi (con quest inedite) ai giochi del computer. Addirittura venne prodotto dalla Merlin un album di figurine. Sissignore! Quanti giochi da tavolo sono stati così famosi da meritarsi persino l’album delle figurine? Oggi il mercato degli appassionati ha creato e venduto di tutto: dai dadi speciali, alle miniature in posa alternativa… ai sottobicchieri per non rovinare il tabellone mentre si gioca e si beve una birra magari analcolica. Qualcuno, appassionato di Heroquest, non solo ha costruito un dungeon in tre dimensioni per giocarvi (anche castando nel proprio forno di casa i pezzi, grazie a degli incredibili stampi in silicone) ma ha anche riscritto le classiche regole affinché fossero adattabili a un dungeon modulare in 3D. Numerosi produttori di miniature hanno infine ovviato l’assurda a mancanza di mobili per rallegrare le segrete di tutto il mondo. I migliori, stampati in resina, sono davvero ricchi di dettagli.
Le informazioni da non perdere
Il portale italiano più noto e ricco dedicato a Heroquest può essere visitato su HeroQuestGame.com [dalla grafica un po' vecchiotta ma veramente completo e ancora molto attivo! ndr] e ha prodotto “Epic Quest” oltre a mettere a disposizione i PDF gratis (e molte curiosità) per tutti gli utenti. Sul portale potete trovare anche tutte le differenze fra l’edizione europea e quella americana oltre a poter scaricare gratuitamente files e PDF nonché avventure inedite. Andrea Angiolino nel 1998 realizzò per conto della compianta Kaos una bellissima intervista a Stephen Baker. Essa svela dei retroscena molto gustosi rispetto Heroquest e Starquest ed è al momento disponibile integralmente sulla Tana dei Goblin
Il mercato dei collezionisti
Oggi un Heroquest perfetto e sigillato può costare più di mille euro e anche le copie usate raggiungono cifre ragguardevoli soprattutto se sono ben tenute (si ponga attenzione ai dettagli: le candele e le code dei topi dicono quanto è stato usato il prodotto), le espansioni con le relative scatole (che al tempo venivano buttate appena aperte) raggiungono cifre imbarazzanti. Su Ebay vendono persino le miniature clonate! Alcuni scultori infine hanno ripensato in chiave moderna le miniature classiche proponendo delle alternative davvero meravigliose a cui verrà presto dedicato un articolo su queste pagine.
Qualche anno fa…
Heroquest venne riproposto su Kickstarter e poi su Lanzanos, una piattaforma di crowfunding spagnola, per celebrare il 25esimo anniversario del titolo da un editore ispanico che produceva e vendeva miniature stranamente simili a quella della Games Worshop. Il progetto finì in un pantano di copyright infranti, project management zoppicante, denunce e delusioni. In attesa che il processo attualmente in corso sfoci in una condanna (o meno) i backers hanno perso tutti i loro soldi per colpa di quel sentimento potente che è la nostalgia. “Rischiammo per amore” può essere l’epitaffio di questa incresciosa vicenda. [Ancora in tribunale...ndr]
Il glorioso presente
Il tempo sembrava essersi fermato e Heroquest doveva rimanere un progetto morto, perduto nell’armarcord delle serate fra amici quando, all’improvviso, un timer misterioso ha scosso la comunità dei player di giochi da tavolo e RPG mondiale. Heroquest sta tornando e questa volta è riproposto direttamente dalla Hasbro e dalla Avalon Hill. Mille domande stanno affollando i forum specializzati o le pagine dedicate su facebook. Che gioco verrà mostrato alla fine del timer? Un gioco da tavolo o una applicazione digitale? Un reboot, un gioco completamente nuovo con solo il titolo in comune? L’immagine dell’infuso eroico fa pensare ad una rispettosa operazione nostalgia… ma come sarà possibile riuscirci senza la collaborazione della Games Workshop che come visto aveva intessuto Heroquest della sua cifra stilistica: dalle miniature da modellista all’ambientazione sword & sorcery, grim & dark di Warhammer? Si teme che alcune cose saranno impossibili senza la partecipazione della Games Workshop: guerrieri del caos e Fimir sono copyright Citadel Miniatures e probabilmente non saranno presenti nella nuova edizione. Comunque vada la nostalgia può trarre in inganno e il rischio di delusione, stante le migliori proposte, è molto forte nei puristi.
Comunque vada quel timer ha riacceso la fiamma della nostalgia, ha portato alla scrittura di questo articolo e ha riportato la fantasia di molti appassionati a più di trent’anni fa, quando bastava aprire la scatola di Heroquest per sentirsi un eroe. O per trucidare gli eroi al tavolo.
Bentornato Heroquest!